C’è qualche pubblico amministratore per il quale gli organi di informazione e le aule di giustizia servono a poco o nulla. Più utili sono i videomessaggi su Facebook: basta accomodarsi davanti alla telecamera e parlare a ruota libera e senza contraddittorio. Vincenzo De Luca e Luigi de Magistris rientrano a pieno titolo in questa categoria.
Il presidente campano l’ha confermato ieri, quando si è rivolto agli internauti pregandolo di «sospendere giudizi e informazioni per una settimana» perché «l’informazione che arriva da me è fondata sulla verità e sui dati reali, non sulle fandonie».

Parole forti che dimostrano quanto il governatore campano sia politicamente isolato, ancor di più dopo che il collega pugliese Michele Emiliano (che in questa pandemia, dati alla mano, non ha certo dato buona prova di sé) gli è stato preferito come vicepresidente della Conferenza Stato-Regioni. L’isolamento in cui De Luca si è cacciato contrapponendosi per mesi all’Esecutivo, agli altri governatori e al suo stesso partito è testimoniato da quell’invito allo «spirito unitario» lanciato sempre durante il videomessaggio di ieri e puntualmente tradito, pochi minuti più tardi, dalla solita valanga di insulti: la distribuzione dei vaccini è «una vergogna nazionale», un atto di «delinquenza politica» commesso da uno Stato che da tre mesi fa sì che l’Italia sia «abbandonata a se stessa». Insomma, non proprio le parole giuste per instaurare quel clima di collaborazione indispensabile per uscire dall’incubo Covid.

Luigi de Magistris non è da meno. Ieri il sindaco di Napoli ha incassato una condanna a quattro mesi di reclusione per aver diffamato Salvatore Murone, procuratore aggiunto di Catanzaro all’epoca dell’inchiesta Why Not. Nel 2017, ospite di Piazzapulita, de Magistris chiarì come quell’indagine, di cui era stato titolare in qualità di sostituto procuratore in Calabria, fosse stata «frenata da pezzi di magistratura, politica e istituzioni». Di qui il processo e la condanna per diffamazione nei confronti di Murone, già scagionato da qualsiasi accusa di “sabotaggio”. La reazione di Dema? «Non posso accettare una sentenza ingiusta che sarà riformata da magistrati autonomi e indipendenti», ha detto, lanciando un insulto nemmeno troppo velato al giudice monocratico di Lamezia Terme che l’ha condannato. Non solo: l’ex pm ha ribadito che l’inchiesta Why Not gli fu illegittimamente sottratta «come provato dalla storia». Come a dire «quella sentenza è carta straccia, solo io sono in grado di raccontare come si svolsero i fatti».

Messe insieme, le esternazioni di De Luca e de Magistris restituiscono la fotografia di due pubblici amministratori apparentemente diversi, eppure incredibilmente simili. Entrambi si ritengono depositari della verità rivelata, il che li porta a delegittimare e a contrapporsi sistematicamente ad avversari politici e interlocutori istituzionali. Le loro parole hanno un retrogusto illiberale come illiberali, nel corso della storia, sono stati tutti i leader convinti della necessità di controllare o sostituire gli organi di informazione “infedeli”, delegittimare i tribunali o crearne di speciali a proprio uso e consumo, controllare l’opinione pubblica attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Una deriva pericolosissima di cui, in un’epoca in cui diritti e libertà sono già abbondantemente compressi dalle misure anti-Covid, non si avverte proprio il bisogno.

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Classe 1987, giornalista professionista, ha cominciato a collaborare con diverse testate giornalistiche quando ancora era iscritto alla facoltà di Giurisprudenza dell'università Federico II di Napoli dove si è successivamente laureato. Per undici anni corrispondente del Mattino dalla penisola sorrentina, ha lavorato anche come addetto stampa e social media manager prima di cominciare, nel 2019, la sua esperienza al Riformista.