Intervista a Donald Sassoon: “Povera Italia, ancora accapigliata sull’omofobia”

«Cara Italia, ti voglio bene ma certe volte faccio fatica a capirti…». Così potrebbe iniziare la “lettera” al Belpaese uno dei più autorevoli storici inglesi e della sinistra europea: il professor Donald Sassoon, che l’Italia conosce bene per averci insegnato e presentato diversi dei suoi libri tradotti ed editi qui da noi. Allievo di Eric Hobsbawm (nelle librerie Eric Hobsbawm. Nazionalismo. Lezioni per il XXI secolo. A cura di Donald Sassoon (la grande storia Rizzoli, 2021), già ordinario di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra, Sassoon è autore di numerosi libri di successo, tra i quali ricordiamo Togliatti e il partito di massa. Il PCI dal 1944 al 1964, (Castelvecchi); Come nasce un dittatore. Le cause del trionfo di Mussolini, (Rizzoli), Quo Vadis Europa? (Ibs); La Cultura degli Europei dal 1800 ad oggi (Rizzoli); Intervista immaginaria con Karl Marx (Feltrinelli); Social Democracy at the Hearth of Europe. Il suo ultimo saggio, ha un titolo intrigante, e uno sviluppo che ci riporta anche all’Europa e alle difficoltà nell’essere all’altezza delle sfide del Terzo Millennio: Sintomi morbosi. Nella nostra storia di ieri i segnali della crisi di oggi (Garzanti).

Professor Sassoon, l’Italia è tutt’altro che fuori dalla crisi economica ingigantita dalla pandemia virale; le disuguaglianze sociali sono cresciute, ma la politica litiga sul ddl Zan, tanto da incrinare la maggioranza stessa che sostiene il governo Draghi. Vista da Londra, ma da un conoscitore attento e partecipe del nostro Paese quale è lei, che impressione si ha di tutto ciò?
L’Italia, con la Gran Bretagna, è tra i Paesi messi peggio in quanto ad aumento del Pil nell’ultimo anno, secondo le statistiche del Fondo Monetari Internazionale. E poi c’è il Covid, che in Inghilterra aumenta a causa della variante Delta a una velocità inaudita che presto travolgerà anche l’Italia, con la differenza che in Gran Bretagna, almeno, la stragrande maggioranza degli adulti è stata vaccinata. L’Italia ha dei problemi seri e vedere una disputa su una cosa come la discriminazione contro gli omosessuali, appare un fatto incredibile, “straordinario”, e se mi è permesso dire così, anche anacronistico. L’Italia è tra i Paesi più arretrati nell’Europa occidentale sulle questioni di discriminazione verso gli omossessuali. Pensiamo ad esempio all’Irlanda, che è un Paese veramente clericale, fino a una decina di anni fa, molto più dell’Italia. Ebbene, qualche anno fa gli irlandesi hanno eletto un Primo ministro che non solo è gay ma è anche figlio di immigrati indiani, Leo Varadkar. Il 55% degli italiani, secondo un sondaggio dell’Eurostat, affermano di essere ben disposti verso un Primo ministro gay. Ma se si va in Svezia o in altri Paesi è il 90%. Nella situazione di oggi, le scelte sessuali del Primo ministro sono veramente una cosa messa all’ultimo posto.

Da storico: quanto continua a pesare la Chiesa cattolica sulla vita politica dell’Italia?
Non credo molto. Da decenni l’Italia ha fatto una legge sul divorzio e la stessa cosa è avvenuta sull’aborto, entrambe sostenute dai cittadini con i referendum. Mi sembra che queste sono scuse per i partiti politici per fare battaglia, per montare dispute su cose che non sono d’importanza nazionale, e questo per evitare di scontrarsi su quelle che invece dovrebbero essere le cose veramente importanti, come appunto quelle dell’economia.

Da questo punto di vista, la sinistra sembra ricercare una identità smarrita, o fortemente logorata, puntando sui diritti civili, restando però sostanzialmente silente sui diritti sociali. Vuol dire che gli operai sono passati di moda?
No, vuol dire che queste questioni sono difficili. Anche in Gran Bretagna il Labour Party è completamente silenzioso, assente sulle grandi questioni sociali. Il leader del Partito laburista, Keir Starmer, polemizza con Boris Johnson se le mascherine si dovrebbero portare ancora o no, su cose che non sono di grande importanza. Il Labour Party come del resto tutta la sinistra dell’Europa occidentale, è assente su tutte le grandi questioni sociali. Non ha più idee e infatti sta perdendo voti in continuazione.

In precedenza facevamo riferimento al governo Draghi. Sono passati mesi dalla formazione dell’esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce. Dal suo osservatorio, Draghi è stato all’altezza delle aspettative?
Non può essere all’altezza delle aspettative perché anche se è molto ammirato e apprezzato in Europa, per la sua dignità, competenza, autorevolezza, deve comunque fare i conti con una coalizione tra le più assurde, politicamente parlando: che va dalla sinistra alla destra. E dunque Draghi sa benissimo che i suoi giorni sono contati, perché dipende dalle dispute tra Salvini e Letta, dalle alzate d’ingegno di Renzi, dall’esito dello scontro in atto all’interno del Movimento 5 Stelle.

Insomma, neanche il più autorevole tra i “tecnici” può surrogare la crisi profonda del sistema dei partiti?
Mi pare evidente. Nessun Primo ministro da solo può reinventarsi la politica. L’abbiamo visto in Italia, con una serie di premier esterni alla politica tradizionalmente intesa. Da Berlusconi in poi, è diventata una cosa quasi usuale avere alla guida del governo, se non veri e propri tecnici comunque gente che era fuori dalla politica. Questa, peraltro non è una cosa solo italiana. Macron, che non ha combinato molto negli ultimi tempi, anche lui viene da fuori. Trump è venuto su dal nulla, non era mai stato eletto prima. Il problema è che la gente è stufa della vecchia politica ma nello steso tempo la nuova politica non è molto meglio, anzi è peggio.

È un vuoto di leadership o è soprattutto un vuoto di pensiero politico?
Tutte due le cose, ma è soprattutto l’incapacità di trovare un sistema politico, cioè un sistema dei partiti, che possa gestire la situazione attuale. Un sistema dei partiti che era solido in altri tempi. In Italia era fin troppo solido, visto che per decenni a governare sono sempre stati gli stessi partiti, a cominciare dalla Dc, e questo fino a Tangentopoli. D’allora non si è più trovato un nuovo sistema. Ma ha ragione: c’è anche un vuoto di pensiero a sinistra che non può essere riempito tornando alla vecchia armatura ideologica. È un tema complesso, che ha occupato una nostra precedente conversazione. Resto convinto che un pensiero progressista all’altezza dei tempi non può prescindere da una rivisitazione critica della sua subalternità ad una globalizzazione guidata dalla finanza piuttosto che dalla politica, una globalizzazione che, per come è stata orientata, ha aumentato le faglie sociali anche all’interno del mondo industrializzato, oltre che tendere a una omologazione culturale che cancella identità comunitarie. Ecco, se è vero che dopo il Coronavirus, niente sarà più come prima, la sinistra cominci da se stessa, se ne è capace.

Tornando alla questione dei diritti civili, sessuali, di genere. Non crede che sia un errore culturale prim’ancora che politico, contrapporli ai diritti sociali? Il tema cruciale non è quello di ridefinire, ampliandoli e modulandoli al presente, i diritti di cittadinanza?
I diritti sociali fanno parte dei diritti di cittadinanza e viceversa. Ben più di un secolo fa quando erano in pochi a votare, quando le donne non avevano diritto di voto, e in molti Paesi gli operai, i poveri, non potevano votare, questa era sia una questione sociale che una questione di diritti civili. Per tornare al tema principale di questa nostra conversazione: che ci sia ancora in Italia la possibilità di discriminare per le tendenze sessuali di uomini e donne, è una cosa strana. Gli altri Paesi dell’Europa occidentale hanno tutti leggi che sanciscono che non si può discriminare un cittadino per le sue preferenze sessuali. È una cosa quasi banale. Leggo che alcuni leader politici italiani guardano con interesse ad Est. Spero che per loro non sia diventato un punto di riferimento, quanto al rispetto dei diritti civili, tra cui quelli inerenti alla sfera della sessualità, uno come il Primo ministro ungherese Orban o il suo omologo polacco Morawiecki.

Per ultimo, vorrei che tornassimo alla “guerra” al Covid-19. Il premier britannico Boris Johnson ha annunciato lo stop a mascherine e alla distanza a partire dal 19 luglio prossimo. È un “liberi tutti” o un azzardo politico dell’inquilino di Downing Street 10?
È azzardo. Un azzardo completo, totale. Lui ha fatto i suoi bravi calcoli. C’è un aumento enorme di chi ha il Covid, ma c’è una diminuzione abbastanza forte del numero dei morti (anche se questo sta risalendo negli ultimi giorni) per via del successo del vaccino. La sua è una scommessa. Dovremo aspettare l’inverno, stagione dell’influenza, per vedere quanti morti in più ha causato Boris Johnson.