La pubblicazione del testo integrale della nota verbale della Santa Sede sul disegno di legge Zan contribuisce a chiarire i contorni di una vicenda assai complessa. Nelle ore immediatamente successive alla pubblicazione della notizia si erano infatti susseguite congetture e indiscrezioni sul contenuto della nota, che avevano finito per investire l’impianto complessivo del testo in discussione. Una volta letto il contenuto della nota, ci si avvede che le cose stanno diversamente. È confermato infatti che la Santa Sede lamenta la potenziale violazione di due disposizioni degli Accordi di Villa Madama – i commi 1 e 3 dell’articolo 2 – che assicurano alla Chiesa cattolica «la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione» nonché «la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale, nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica»; e assicurano ai cattolici e alle loro associazioni «la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero, con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

Allo stesso tempo, tuttavia, la potenziale violazione è riscontrata in relazione a un ambito circoscritto del testo e cioè la criminalizzazione degli atti discriminatori. Tale previsione – e cioè l’estensione dell’articolo 604 bis del codice penale alle condotte motivate anche da orientamento sessuale e identità di genere – entrerebbe secondo la Santa Sede in conflitto con la centralità che la “differenza sessuale” assume nel magistero ecclesiastico «secondo una prospettiva antropologica che la Chiesa cattolica non ritiene disponibile perché derivata dalla stessa Rivelazione divina». Questa è, a ben vedere, l’unica critica esplicita al testo del ddl Zan mentre, rispetto al dibattito sviluppatosi tra martedì e mercoledì, è invece assente qualunque riferimento alle scuole cattoliche e a presunte violazioni della loro autonomia recate dall’articolo 7 del disegno di legge. Una divergenza singolare e significativa, specie se letta alla luce dell’aspro conflitto politico-parlamentare proprio su questi aspetti del testo. Certo, la nota continua a fare riferimento alla “libertà educativa” della Chiesa, ma lo fa in termini generali e senza richiamare specifici passaggi del testo in discussione al Senato.

La portata del conflitto appare insomma più limitata, rispetto a quanto inizialmente trapelato e ampiamente dibattuto sui mezzi di comunicazione e nei palazzi della politica. E, a seguito delle ferme dichiarazioni del Presidente del Consiglio e di quelle, concilianti, del Segretario di Stato vaticano, l’incidente sembrerebbe superato. Ciò non significa, tuttavia, che non permangano elementi di preoccupazione o che possa sottovalutarsi la portata del gesto della Santa Sede. La nota rivendica la tutela di una “prospettiva antropologica” frutto di rivelazione divina e incentrata sulla differenza sessuale. Indisponibile, per la Chiesa cattolica. C’è da chiedersi, anzitutto, se il disegno di legge Zan la metta davvero a rischio, e in che termini. La risposta è semplice, ed è negativa. L’obiettivo del testo è chiaro: prevenire e contrastare la discriminazione e la violenza motivate dal sesso, dal genere, dall’orientamento sessuale, dall’identità di genere o dalla disabilità delle vittime. Ed è in questi termini che vanno lette e interpretate le sue disposizioni, ivi comprese quelle di carattere definitorio. Non si tratta di sposare una prospettiva antropologica, escludendone altre: si tratta, molto più semplicemente, di tutelare la dignità delle persone. E di farlo anche punendo discorsi e crimini fondati sull’odio verso condizioni personali.

Non “prospettive antropologiche”, ma vite di persone in carne e ossa, corpi attraversati dalla libertà, che meritano di vivere in condizioni di pari dignità e sicurezza quale che sia il loro rapporto con dogmi o modelli. Di questo si occupa la proposta di legge: che è, appunto, un testo giuridico e non un trattato di antropologia. In una democrazia pluralistica hanno cittadinanza diverse visioni del mondo. Tra queste è senza dubbio ricompresa la “prospettiva antropologica” di cui la Santa Sede rivendica la tutela. La Chiesa cattolica ha il diritto di affermarla e sostenerla nello spazio pubblico e gli articoli 19 e 21 della Costituzione – prima ancora degli Accordi di Villa Madama – predispongono le condizioni adeguate affinché ciò possa avvenire. Allo stesso modo, chi sia portatore di una diversa visione del mondo ha il diritto, se lo ritiene, di criticare quella “prospettiva antropologica” con gli strumenti della democrazia e del libero confronto.

Il disegno di legge Zan si pone in armonia con queste premesse quando, all’articolo 4, fa salve «la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte», con il solo limite dell’idoneità di quelle condotte e di quelle opinioni a «determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». Dunque, è pacifico che quella “prospettiva antropologica” non perderebbe, per effetto dell’approvazione del disegno di legge, la propria cittadinanza nello spazio pubblico. Come ogni altra visione del mondo, non potrà piuttosto travalicare nell’istigazione alla discriminazione o alla violenza.
Quel che non si può pretendere da una democrazia laica e pluralista è che assuma e promuova una determinata visione del mondo, fino al punto di legittimare condotte lesive della dignità altrui, sol perché basate su di essa.

Resta spazio, sempre, per il ragionevole bilanciamento tra i diversi diritti fondamentali coinvolti, compresa la libertà religiosa. Continui dunque la Chiesa cattolica – quale attore nello scenario pluralistico – ad affermare la propria visione del mondo nello spazio pubblico, in armonia con i principi costituzionali entro i quali lo stesso Concordato si inscrive e tra i quali figura la reciproca indipendenza e sovranità di ordine di cui parla l’articolo 7. Da qui a lamentare la violazione degli Accordi di Villa Madama il passo è lungo e, come si è detto, nemmeno giustificato dal contenuto del testo in discussione al Senato.

Ed è proprio qui che risiede il punto dolente della ferita aperta dalla nota vaticana, che pone specifici problemi in relazione al principio di laicità dello Stato. Non a caso, intervenendo mercoledì in Senato, il Presidente del Consiglio Draghi ha ritenuto di ribadire che «il nostro è uno Stato laico, non confessionale» e che, di conseguenza, il Parlamento è libero di legiferare, ferme restando le garanzie poste a presidio della legittimità costituzionale delle leggi. Draghi ha richiamato la sentenza n. 203/1989 della Corte costituzionale, sulla facoltatività dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole. Non si tratta di un riferimento neutro, bensì denso di significati profondi. Il primo è quello richiamato dallo stesso Draghi quando ha ricordato che, secondo quella sentenza, laicità non significa indifferenza rispetto alla religione, ma apertura al pluralismo e alle diversità culturali.

Il secondo, rimasto in ombra, rinvia al legame forte che quella decisione traccia tra principio di laicità – qualificato come principio “supremo” – e la libertà di coscienza individuale. Funzione del principio di laicità è infatti anche quella di garantire uno spazio pubblico in cui ogni persona possa esprimere sé stessa in condizioni di libertà e pari dignità. In questa chiave è possibile leggere anche l’importante riferimento alla recente legge ungherese sulla cosiddetta “propaganda LGBT+”, di cui Draghi – in linea con la presa di posizione di 14 Stati membri dell’Ue – ha apertamente riconosciuto il carattere discriminatorio.

Il principio di laicità non si riduce alla mera neutralità rispetto al fenomeno religioso, ma è legato a doppio filo al principio pluralista. Ed entrambi affondano le proprie radici nel principio personalistico, e dunque nella tutela della dignità individuale. Libera Chiesa in libero Stato, allora. Ma soprattutto libertà dei corpi, delle scelte, delle vite, senza la quale non esistono libere istituzioni.