Dopo una delle pur troppo numerose aggressioni omofobe anche a Roma, Imma Battaglia, storica attivista Lgbt+ ha commentato: «Sono sconvolta perché se un’aggressione omofoba avviene al Pigneto, quartiere avanguardia culturale, vuol dire che la situazione è grave». Effettivamente sul terreno dei diritti della persona e del rispetto delle diversità sessuali, la situazione si è fatta così grave da non avere più aree garantite, città in cui vivere liberamente la propria vita. Un’aggressione, una violenza, un’offesa gratuita e umanamente intollerabile può avvenire in qualsiasi luogo. Sono i segnali, a volte drammatici, di una regressione di civiltà minacciosa.

I cambiamenti intervenuti nelle soggettività, nella percezione di sé e nel rapporto con l’altro, frutti anche delle semine di movimenti volti a conquistare il diritto della persona, a partire dalla rivoluzione femminista, incontrano ora una reazione d’odio, non adeguatamente contrastata, anche per il venir meno nella società delle grandi agenzie formative che avevano riempito, anche in dialettica con i movimenti, il ciclo ascendente. Occorre il dispiegarsi di una grande mobilitazione delle coscienze, di un’impegnativa battaglia culturale. Lea Melandri ha indicato una pista preziosa a questo proposito: «L’odio per l’identità di genere va riconosciuto e nominato in tutte le sue forme e, come tale, sanzionato». E ancora: «Ma prima di tutto, va messa al centro la misoginia, in quanto fondamento di tutta la cultura sessista che abbiamo ereditato».

Così, l’impegno per l’approvazione della legge Zan acquista la sua dimensione di civiltà e potrebbe costituire una delle leve attivabili per una più generale lotta delle idee. Invece, ad ora, il suo cammino è lento, frenato e non adeguatamente sostenuto. C’è la frontale opposizione delle destre, che recuperano per l’occasione tutto il loro armamentario reazionario. Del resto, la destra italiana conferma, anche in questa occasione, la sua totale misconoscenza della grammatica liberale. Ma è anche nel campo democratico delle sinistre, e anche nei movimenti, che si possono misurare delle resistenze e persino delle opposizioni alla legge. Non mancano, certo, le possibilità di nutrire dubbi e problematicità su questo o quell’altro aspetto. Il suo obiettivo dichiarato è la lotta contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia, la transfobia. Le osservazioni critiche su questa lingua sono da intendere, ma vale la pena di confrontarle con i processi nei quali i nuovi soggetti, che si affacciano su una realtà che chiedono di modificare, sono sempre stati portatori anche di termini ed espressioni che, solo con la loro crescita e la loro affermazione nella società, entrano compiutamente a formare la cultura del tempo. Basti, appunto, guardare ai femminismi.

C’è la possibilità di approfondire anche il tema dell’identità di genere, ascoltando pure le voci critiche che vengono da certe realtà di donne, ma anche prestando attenzione a quei ragionamenti che ci propongono la differenza sessuale come la realtà di corpi attraversati dalla libertà. Si può essere attenti a chi guarda con preoccupazione alla moltiplicazione dei reati e delle punizioni, è un’attenzione sacrosanta, ma qui quel che prevale è l’affermazione di un diritto di una persona che va dall’educazione all’organizzazione della società, passando per la vita delle persone stesse.
Non è in campo una nuova dottrina da far valere fin dalla scuola, ma l’affermazione della cultura del rispetto contro quella della violenza fondata sul pregiudizio. Le gravi manifestazioni di censura, attribuite a movimenti post-coloniali, come al “me too”, indicano un pericolo reale per la cultura e per la convivenza, ma non possono cancellare il fatto che il “me too” sia stato considerato persino dal Time il movimento dell’anno e che l’Occidente tutto deve ripensare criticamente la sua storia.

Ma tutta questa problematica non può ricadere come un masso sulla legge Zan, così come non può ricadervi un dibattito che riappare a sinistra foriero solo di regressioni pesanti, anche in questo campo. Se la sinistra ha abbandonato il terreno della lotta di classe non è certo per essersi dedicata ai diritti civili, mentre al contrario, tutta l’esperienza dei movimenti lo dimostra, l’assunzione radicale dell’orizzonte della liberazione chiede la connessione tra potere e diritti, tra diritti sociali e diritti della persona, come il ripensamento di fondo del rapporto tra l’essere umano e la natura. Basta un’occhiata alla storia recente del nostro Paese e si vedrà che la legge sul divorzio, la legge sull’aborto, l’abbattimento del muro dei manicomi sono stati conquistati in presenza di una centralità del conflitto sociale. Penso, tuttavia, che sia giunto il momento di lasciar cadere riflessioni e dubbi, pure quelli comprensibili.

È giunto il momento di impedire a qualsiasi parte politica e sociale di usare la giusta denuncia dell’intollerabile condizione di ingiustizia sociale in cui viviamo per limitare una sacrosanta iniziativa nata ai fini di difendere i diritti della persona. Contro qualsiasi discriminazione o minaccia è giunta l’ora di un affondo. Ogni giorno siamo davanti a atti di violenza motivati dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere della vittima prescelta. Dovremmo sentirci, in queste occasioni, tutte e tutti offesi e colpiti nella nostra stessa dignità. Certo, una legge da sola non può riuscire a tradurre il “basta!” dell’indignazione che ci viene da dire nella conquista di una pratica sociale rispettosa, ma una legge vi può concorrere, specie se accompagnata, come sarebbe necessario, da una mobilitazione per conquistarla, e per avanzare una cultura della tolleranza e del rispetto delle differenze e delle diversità.

Ci sono nodi che si presentano intricati e meritori della fatica di scioglierli, ma c’è pure anche per loro il momento di una scelta più incisiva. Il nodo, allora, va tagliato. Ad aiutare tanti a compiere oggi questa scelta, sostenendo senza incertezze la legge Zan, se non bastassero gli argomenti a favore, dovrebbero essere sufficienti quelli di chi la contrasta. Argomenti e forze che ci propongono un’Italia dell’intolleranza nei confronti della diversità e della tolleranza nei confronti della violenza.

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Politico e sindacalista italiano è stato Presidente della Camera dei Deputati dal 2006 al 2008. Segretario del Partito della Rifondazione Comunista è stato deputato della Repubblica Italiana per quattro legislature ed eurodeputato per due.