Gaetano Azzariti, costituzionalista, docente di diritto pubblico alla Università La Sapienza di Roma.
Professore, ha fondamento la dichiarazione resa dal ministro degli Interni Piantedosi in Parlamento secondo la quale “gran parte delle navi ong sono considerate “luoghi sicuri temporanei”, e per questo l’accoglienza spetterebbe in prima battuta agli stati di bandiera? Ha detto anche: «Le norme non dicono che l’Italia debba farsi carico di tutti, e le ong, che continuano a essere un fattore di attrazione per i migranti, non possono scegliere il Paese di destinazione». Il ministro si riferisce al fatto che alcune delle operazioni di salvataggio sono avvenute in aree di competenza di Libia e Malta, ma le navi si sono dirette in Italia.
Mi sembra si confondono due piani tra loro non sovrapponibili: che le navi siano o meno qualificate “luoghi sicuri temporanei” non fa venir meno che queste devono operare in base alla normativa relativa al salvataggio di naufraghi. È questo che determina l’obbligo non solo di soccorso e di trasbordo sui propri scafi delle persone in pericolo, ma anche la necessità di garantire a questi lo sbarco in luogo sicuro (il cosiddetto place of safety). Quale sia la nazionalità delle navi non rileva un’interpretazione che è in contrasto con le norme di diritto internazionale generalmente riconosciute (e la crisi con la Francia è stata il frutto di un’interpretazione infondata in tal senso da parte del nostro Governo). È vero che le navi non possono scegliere il paese di destinazione, ma ciò porta ad una conseguenza diversa da quella che sembra suggerire il Ministro, imponendo alle navi che operano nelle acque internazionali di fronte alla Libia di dirigersi proprio verso l’Italia ovvero Malta, essendo questi i porti sicuri più vicini per poter completare il salvataggio e mettere al sicuro i naufraghi. Escluso, invece, di poter riportare i naufraghi sulle coste libiche non ritenute sicure. Per quel che è dato sapere, in caso, ciò che manca sono le necessarie comunicazioni tra le navi ong e gli Stati costieri (Italia e Malta). Sono quest’ultimi che dovrebbero promuovere la costituzione e il funzionamento permanente di un servizio adeguato ed efficace di ricerca e soccorso per tutelare la sicurezza marittima, nonché dovrebbero adoperarsi per collaborare per i soccorsi.
Nel Salvini bis fu cassata dal Quirinale la formulazione del decreto che approvò dissentendo su alcuni punti. Potrebbe risuccedere?
Il Presidente Mattarella nel 2019, in occasione dell’emanazione del secondo decreto Salvini in materia di sicurezza e salvataggio in mare dei migranti, ebbe a formulare pesanti rilievi critici, con una lettera che inviò al Presidente del Consiglio del tempo e ai presidenti del Parlamento. In particolare, rilevò le forzature determinate dall’aumento sproporzionato della sanzione amministrativa applicabile ai comandanti delle navi che trasportano migranti, nonché altre “irragionevolezze” contenute in quel decreto, che non teneva conto della normativa internazionale. Fu esplicito l’invito al rispetto dei trattati internazionali in materia. Penso proprio – e mi auguro – che se si dovessero riscontrare anche in questo caso forzature che rischiano di compromettere il rispetto dei rapporti internazionali e le norme europee (a partire dal Regolamento di Dublino, ma la normativa in materia è assai articolata) il presidente non mancherà di far sentire la sua voce di garanzia, trovando modi e forme per esercitare la sua moral suasion.
Dai primi atti di questo governo sembrerebbe che Piantedosi sull’immigrazione voglia attuare la stessa politica di atti plateali di chiusura di quando era Salvini ministro dell’ Interno cercando di aggirare gli ostacoli di legge all’abbandono in mare dei naufraghi per non finire negli stessi guai giudiziari in cui finì Salvini e che stia tentando di farlo puntando sulle sanzioni amministrative. Una strategia sensata giuridicamente?
Non penso si possa ripetere l’esperienza passata che è andata incontro a clamorose smentite. I decreti Salvini sono stati sostanzialmente vanificati dai giudici, che hanno necessariamente fatto valere le norme internazionali cui lo stato italiano è obbligato a conformarsi. È probabile che il nuovo governo stia cercando una strada per riprendere quel vecchio indirizzo di forte ostilità nei confronti delle politiche migratorie e di salvataggio in mare, ma a me sembra che, almeno per ora, si stia muovendo senza riuscire a trovare un equilibrio. La pretese di sbarchi selettivi è fallita e non credo possa essere riproposta: la definizione di “carichi residui”, non è solo eticamente e semanticamente riprovevole, ma anche giuridicamente inutilizzabile. Il tentativo di trasferire ai prefetti il sistema sanzionatorio di multe e sequestri, nella speranza di bypassare il filtro dei giudici, i quali, facendo valere lo stato di diritto, dichiarano l’illegittimità delle decisioni assunte dal governo, rischia di andare incontro ad altre smentite: ci sarà sempre – anche nei confronti delle decisioni prefettizie – un giudice a far valere i diritti delle organizzazioni non governative.
La verità è che questo governo dovrebbe imparare dal passato e comprendere che le politiche migratorie (comprese quelle relative ai salvataggi in mare) sono tutte da stabilire a livello internazionale ed europeo. Anziché continuare a provare a chiudere i porti, dovrebbe cominciare a guardare a come mettere in piedi un sistema europeo di politiche per i flussi dei migranti, non solo quelli che vengono dal mare, ma anche dai confini terrestri. Dovrebbe inoltre aver sempre presente quel che deve essere la sua stella polare: l’articolo 10 della nostra Costituzione che assicura ad ogni straniero, al quale è impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche, il diritto d’asilo. E forse tra queste vi è da far rientrare anche la libertà alla sopravvivenza per i cosiddetti migranti economici.
