Intervista all’ex questore De Iesu: “Con i ragazzi è sempre meglio prevenire che arrestare”

Napoli è una città tanto bella quanto maledetta e la criminalità non può ucciderla ogni giorno. Ne è convinto l’ex questore partenopeo Antonio De Iesu che per decenni ha lavorato con unico scopo: debellare il cancro della sua terra. E ha fatto molto, riuscendo ad arrestare gli esponenti del clan Di Lauro, i killer che ferirono Noemi e i componenti della baby gang che accoltellarono Arturo e il vigilantes di Piscinola, nonché altri protagonisti delle pagine più buie e feroci della cronaca nera di Napoli.

Benchè repressione e manette in questi anni non siano mai mancate, per l’ex questore, in pensione da pochi mesi e nominato commissario prefettizio di Eboli, bisogna anticipare l’idea del reato: la soluzione è la prevenzione sociale, accompagnata dalla consapevolezza che bisogna fare di più e non fermarsi alla mera repressione dei reati.

Dottor De Iesu, Napoli è considerata una delle città più pericolose d’Italia: se lo aspettava?
«Sì, non è una novità che la criminalità organizzata e i reati predatori siano il cancro di questa città e che Napoli sia un luogo martoriato dalla delinquenza».

A proposito delle rapine, si è molto parlato di X-Law, il sistema messo a punto dall’università Federico II che, sulla base di una serie di statistiche, consente di prevedere la fascia oraria e il luogo di commissione del reato. Cosa ne pensa?
«X-Law è un sistema prezioso e un valido aiuto per le forze dell’ordine, ma non è certo la soluzione».

Perché?
«Innanzitutto perché i reati a Napoli sono troppi e prevederli tutti sarebbe impossibile. Poi perchè i poliziotti non possono essere robot: sono uomini con fragilità, paure e un’intelligenza che li porta a intervenire secondo il loro criterio di giudizio. Ma in sostanza credo che il problema dei reati e della sicurezza della città vada osservato da un’altra prospettiva».

Quale?
«Dobbiamo interrogarci sulla violenza e sulla ferocia perpetrata spesso da ragazzini veramente piccoli, perchè c’è ed è innegabile, ma dobbiamo pure chiederci come sia possibile che una città sforni così tanti criminali di età compresa tra i 15 e i 18 anni. Perchè, oltre la criminalità organizzata, negli ultimi anni ci sono stati tanti reati, anche molto feroci, commessi da baby gang».

Lei quale risposta si è dato?
«La risposta è che bisogna puntare sulla prevenzione sociale, andare a indagare cosa c’è dietro ai reati commessi dai giovanissimi. Occorre fare luce anche sui contesti sociali nei quali vivono questi ragazzini, quindi sulla situazione economica e familiare che hanno alle spalle. A Napoli si sta facendo tanto per allontanare i minori dalla strada. Ci sono esempi di iniziative che hanno avuto successo in questo senso».

Ce ne indica almeno uno?
«La palestra di pugilato nata all’interno della sacrestia di una chiesa alla Sanità rappresenta un esempio virtuoso. L’hanno voluta i ragazzini che vivono lì e in un mese è stata realizzata. Innanzitutto c’è stata la collaborazione di vari protagonisti del territorio, cioè don Antonio Loffredo, la polizia e il presidente della municipalità Ivo Poggiani che hanno unito le forze con l’unico scopo di dare un’alternativa ai ragazzi del quartiere. In quella palestra, allestita in un luogo sacro, sono venuti più di 120 giovani. Ragazzi che hanno imparato una disciplina, ma soprattutto ad avere un’ambizione. Ad allenarli ci sono gli atleti delle Fiamme Oro e questo è un esempio riuscito di prevenzione sociale».

Come concretizzare il valore della prevenzione sociale?
«Penso a luoghi di aggregazione e centri sportivi. Sembrano cose piccole, ma non lo sono. Anzi, sono piccole grandi cose. Ogni ragazzo che allontaniamo dalla cattiva strada è una piccola goccia in un oceano, certo, ma è da lì che bisogna partire per contrastare i reati e rendere Napoli una città più vivibile e meno pericolosa».