E se, per effetto del Covid-19, la “questione sociale” e la “questione criminale” si dovessero dare appuntamento in ottobre? Quale potrebbe essere il luogo ideale per l’incontro, se non il Mezzogiorno? E se nel Mezzogiorno, come escludere Napoli, per tutte le ragioni che ci sono note? Più volte, negli anni passati, si è indicata come possibile una pericolosa sovrapposizione di queste due emergenze (poco lavoro, troppi clan), ma quasi sempre a farlo era chi aveva un particolare interesse a “monetizzare” l’allarme, a tradurlo in misure di sostegno economico, o addirittura in vere e proprie leggi speciali. Questo aspetto strumentale della vicenda veniva poi confermato dagli stessi richiedenti, quando, per altre ragioni, diciamo di sindacalismo territoriale, per difendere l’immagine delle città o delle regioni rappresentate, cambiavano radicalmente registro, da allarmisti si trasformavano in pompieri e tutto veniva da loro di colpo minimizzato, contestualizzato e relativizzato.

Insomma: il Sud non è più violento del Nord, Napoli non è la città della camorra, qui non si delinque più che altrove, e cose del genere, tutte tendenti a smussare gli angoli e a indirizzare gli sguardi verso altri orizzonti. A lungo andare, questa doppiezza ha aggiunto danno a danno, togliendo credibilità e autorevolezza alle “voci” del Sud. Oggi, però, a lanciare l’allarme sociale non è la periferia, ma lo Stato centrale, nella figura della ministra dell’Interno Luciana Lamorgese; e a proporre l’attualità della questione criminale non è questo o quel sociologo o il solito giornalista d’assalto, ma la semplice e dura cronaca. Quel che ha detto la ministra è noto. Ed è ancora più significativo se si pensa che finora l’eventualità di una protesta di massa è sempre stata negata, quasi che il solo parlarne potesse mettere in cattiva luce il governo Conte e la sua azione di contrasto alla pandemia.

Ebbene, «in autunno avremo una crisi economica e c’è il rischio concreto di tensioni sociali»: ecco cosa ha detto Lamorgese. E i fatti? L’altro giorno c’è stata un tentativo di strage di stampo camorrista a Casoria. Un gruppo di fuoco ha preso di mira una comitiva di giovani: un diciottenne è stato ucciso e un sedicenne è rimasto ferito. Si è parlato di un regolamento di conti, di oscuri interessi sullo sfondo e di possibili patti infranti. Si vedrà. Ma intanto ciò che più balza agli occhi, a parte la giovane età di chi è stato colpito, è la distanza abissale, che è subito emersa dalla indagine, tra la vita reale nell’area metropolitana di Napoli, tra gli interessi che qui si scontrano e tra i patti che qui si siglano e si rompono, e le conoscenze effettive che di questa realtà hanno le forze dell’ordine e la magistratura inquirente. Cosa avevano combinato di così grave questi giovanissimi per essere oggetto di un agguato riservato in genere a boss della camorra? È la domanda che si è posto ieri Isaia Sales sul Mattino.

Già, cosa? E quella successiva, inevitabile, è: come è stato possibile non intercettare nulla del sommovimento di tensioni che presumibilmente spinge a un atto di tale gravità? La questione è molto seria. Se il conflitto sociale è dato ormai per scontato, se anche la camorra si sta preparando a suo modo a gestire l’autunno caldo, e se il governo continua a rimandare tutte le decisioni più importanti, cosa davvero ci aspetta? Non è un caso se oltre alla questione sociale e a quella criminale, qualcuno già comincia a segnalare con una certa apprensione anche quella democratica.