L'intervista esclusiva
Israele, Kuperwasser: “Così abbiamo colpito i siti nucleari iraniani mandando in fumo miliardi di investimenti. Gaza? È un’estensione del regime”
Abbiamo intervistato in esclusiva per l’Italia Yossi Kuperwasser. Chi conosce il mondo dell’intelligence militare sa bene di chi parliamo: il suo nome è nella leggenda. Se oggi Kuperwasser è a capo del Jerusalem Institute for Strategy and Security, fino a poco fa è stato direttore del Progetto sugli sviluppi regionali del Medio Oriente del Jerusalem Center for Security and Foreign Affairs. È stato anche Direttore Generale del Ministero degli Affari Strategici di Israele e capo della Divisione Ricerca dell’Intelligence militare delle Forze di Difesa israeliane (IDF).
Generale, qual è oggi la situazione in Iran, dopo gli attacchi?
«Gli iraniani stanno leccandosi le ferite. Hanno vissuto dodici giorni molto difficili. Ora cercano di riprendersi, di capire cosa è successo e cosa questo significhi per loro. Sono in stato di shock. Usciti dai bunker, si trovano di fronte alla distruzione completa del loro progetto nucleare, che era il loro fiore all’occhiello. Gli scienziati che lo guidavano sono stati eliminati, le strutture distrutte. Tutto questo è stato ottenuto grazie a un’operazione congiunta tra Stati Uniti e Israele».
Parliamo di un investimento enorme per l’Iran, giusto?
«Sì, decine di miliardi di dollari investiti nel programma nucleare sono finiti nello scarico. È una situazione estremamente difficile per Teheran. Per noi, invece, è stato un grande successo — sia per le Forze di Difesa israeliane, sia per gli Stati Uniti».
Qual è stato il ruolo specifico di Israele in questa operazione congiunta?
«Abbiamo svolto una parte decisiva: ci siamo occupati della difesa aerea iraniana per garantire la libertà di volo su tutto l’ovest dell’Iran, compresa Teheran. Abbiamo colpito la maggior parte dei siti nucleari, lasciandone solo tre agli americani: Fordow, Natanz e Isfahan. Abbiamo anche colpito asset del regime e figure chiave dei Pasdaran e dell’esercito. Gli Stati Uniti hanno integrato i loro sistemi con i nostri, creando una difesa missilistica straordinariamente efficace».
Eppure, qualche missile è riuscito a superare le difese, giusto?
«Sì, qualcuno ha superato il sistema, com’era prevedibile, ma senza la difesa missilistica integrata il danno sarebbe stato incalcolabile. L’Iran ha tentato di saturare il nostro spazio aereo con centinaia di droni e missili, alcuni lanciati simultaneamente in gruppi di trenta, per mettere sotto pressione il nostro sistema difensivo. Ma hanno fallito ogni volta, tranne in quei casi attesi».
Uno degli obiettivi era colpire anche i vertici del regime iraniano?
«Assolutamente sì. I leader che sono stati uccisi non sono stati colpiti per errore. È stata una scelta precisa. Abbiamo eliminato i comandanti dell’aeronautica dei Pasdaran, i vertici dell’intelligence, il comandante dei Pasdaran e quello dell’esercito. Anche l’attacco al carcere di Evin ha avuto un valore altamente simbolico».
Israele vuole un regime change in Iran?
«Noi non abbiamo mai avuto l’obiettivo di rovesciare il regime, ma volevamo indebolirlo e creare le condizioni per un cambiamento interno. Questo è compito del popolo iraniano. Speriamo che possa accadere, magari anche all’interno delle élite governative, che potrebbero iniziare a mettere in discussione la politica fallimentare portata avanti finora».
Il fallimento è su più fronti?
«Esatto. Hanno investito nei proxy armati in Medio Oriente, ma nessuno di questi è intervenuto in loro difesa. Hanno speso miliardi nel nucleare: distrutto. Hanno elogiato le loro difese aeree, ma si sono dimostrate inefficaci. Israele ha goduto di totale libertà di manovra nello spazio aereo iraniano. È una disfatta, e i responsabili sono Khamenei e i vertici dei Pasdaran».
Il leader supremo Khamenei è ancora vivo?
«Non abbiamo cercato di ucciderlo, quindi suppongo di sì. Ha 89 anni e, nonostante alcune malattie, è in condizioni relativamente buone per la sua età».
E Gaza? Che ruolo ha in questo contesto?
«Gaza è, in parte, un’estensione del regime iraniano. L’Iran fornisce a Hamas armi, denaro, know-how militare. I documenti recuperati dopo l’operazione a Gaza dimostrano la forte connessione tra Hamas e Teheran. L’Islamic Jihad, invece, è completamente dipendente dall’Iran. Lo stesso vale per Hezbollah e gli Houthi, anche se questi ultimi mantengono una certa autonomia decisionale».
Il massacro del 7 ottobre è stato pianificato con l’Iran?
«No. È stato pianificato a Gaza. È stato presentato come opzione all’Iran, ma il timing è stato tenuto segreto dalla leadership di Hamas. Il successo dell’operazione dipendeva totalmente dall’effetto sorpresa».
Cosa accadrà ora?
«Netanyahu volerà a Washington per incontrare Trump. Abbiamo consolidato un’alleanza molto forte con gli Stati Uniti sul dossier Iran. Ora possiamo affermare chiaramente: se l’Iran proverà a rilanciare il programma nucleare, non aspetteremo che sia vicino alla bomba. Agiremo subito. Questo crea una fortissima deterrenza».
Ci sono effetti anche sui negoziati per gli ostaggi?
«Sì, stiamo cercando di sfruttare il successo militare in Iran per aumentare la pressione su Hamas nei negoziati sugli ostaggi. Inoltre, vogliamo capire se è possibile riaprire un dialogo tra Stati Uniti e Iran sul fronte economico e nucleare. L’Iran è in ginocchio economicamente. Potrebbero essere costretti a cedere per vedere rimosse le sanzioni».
E l’Europa? Che ruolo ha avuto?
«Purtroppo, nessuno. L’Europa ha rinunciato ad avere una voce. Alcuni Paesi hanno mostrato comprensione per le nostre azioni, ma nessuno ha agito. Tuttavia, non è troppo tardi: possono ancora far scattare il meccanismo del “snapback” e ripristinare le sanzioni se l’Iran continuerà a non cooperare con l’AIEA».
Ultima domanda: in Italia c’è un dibattito sulla cooperazione militare con Israele. Vi preoccupa?
«Non è una questione critica, ma ci teniamo a proseguire la collaborazione con l’industria militare e con le forze armate italiane. È una cooperazione importante per entrambe le parti. Spero sinceramente che continui».
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