In questi anni i cittadini israeliani e il popolo ebraico si sono sentiti soli davanti alle minacce di Teheran. L’Iran è divenuto via via il mandante (con i suoi proxy Hezbollah, Hamas, Houthi) degli attacchi allo Stato di Israele con una stima di circa 30mila tra razzi e missili sparati per seminare il panico e morte tra i civili in questi decenni. Così come il 7 ottobre. È stato messo a dura prova il giuramento ebraico del “Mai più”, di non permettere più una distruzione di massa del popolo ebraico dopo la tragedia dei lager nazisti. Tanto che la dottrina del primo ministro Menachem Begin è divenuta un assioma identificativo e strutturale dello Stato ebraico: “Non permetteremo a nessun nemico di sviluppare armi di distruzione di massa che possono essere rivolte contro di noi. Questo attacco (al reattore nucleare iracheno nel 1981) sarà un precedente per ogni futuro governo in Israele. Il futuro primo ministro israeliano agirà, in circostanze simili, allo stesso modo”.

Perché non fu bombardato il lager di Auschwitz?

Il lutto della Shoah non poteva essere elaborato fino in fondo, perché aleggiava sempre lo spettro proveniente da Teheran. Sappiamo che la Shoah ha colpito non solo per i sei milioni assassinati e trucidati nelle stanze della morte, ma ha lasciato nella coscienza collettiva ebraica un eterno dilemma per lo scarso intervento delle potenze dell’epoca: perché non fu bombardato il lager di Auschwitz? Perché non sono state deragliate quelle linee ferroviarie che conducevano gli ebrei alla morte certa? Sono interrogativi che animano ancora oggi il dibattito sulla Shoah. Da quando i deportati nel campo di Birkenau udivano nel 1944 i rombi degli aerei alleati che bombardavano i vicini depositi industriali, e aspettavano con trepidazione un intervento decisivo di salvataggio. Si dava la priorità da parte degli Alleati a ridurre alle corde i Paesi dell’Asse e a non distogliere forze e risorse perché l’unica salvezza per tutti doveva essere il momento della vittoria finale, così affermavano i leader delle forze alleate.

La richiesta sul tavolo di Churchill

In quei terribili anni c’è chi si fece portavoce delle istanze dell’ebraismo mondiale presso i potenti di allora, perorando una causa che durante il trascorso faceva proseliti con un numero crescente di adesioni e sostenitori. Ad iniziare dal tentativo di Jan Karski, un giovane polacco militante nella Resistenza che, dopo aver visto con i propri occhi le atrocità subite dagli ebrei nel ghetto di Varsavia, riuscì a fuggire dalla tenaglia tedesca e a divulgare la sua testimonianza al mondo intero, riuscendo ad avere udienza alla Casa Bianca, il 28 luglio 1943, con il presidente Roosevelt, in cui denunciò lo sterminio in atto del popolo ebraico che stava avvenendo nell’Europa nazista. Anche nel luglio del ’44 ci fu il tentativo di Chaim Weizmann, allora a capo dell’Agenzia ebraica internazionale e poi presidente dello Stato di Israele, che fece arrivare la richiesta di bombardare Auschwitz sul tavolo di Churchill, che a sua volta la inoltrò al Dipartimento di Stato americano senza ottenere il via libera per un intervento degli Alleati.

Le minacce

Queste pressioni si infrangevano contro il muro della politica: la risposta più diffusa era che non vi fossero ragioni di opportunità militare per cercare di cambiare il corso tragico degli eventi. Nei primi anni delle deportazioni, i palazzi del Potere diffidavano di queste indiscrezioni che filtravano da privati, non dando loro il credito dovuto. Come durante la Shoah, i gridi di allarme che provenivano da Gerusalemme sulla minaccia iraniana sono rimasti per lunghi anni inascoltati. Fino ad arrivare alle prime dichiarazioni dell’Aiea sull’arricchimento dell’uranio fino al 60% se non oltre, con poco tempo per arrivare alla bomba nucleare, quando l’Esercito israeliano due settimane fa ha dovuto iniziare un attacco preventivo prima che fosse troppo tardi. E, con il bombardamento dei siti nucleari iraniani da parte delle forze statunitensi, qualcosa è cambiato.

La richiesta di Netanyahu

L’azione incessante di Bibi, che non ha mai lesinato di denunciare la minaccia nucleare iraniana, ha trovato in Trump orecchie ben disposte ad ascoltare per poi agire. Offrendo una dimostrazione che uno statista – in questo caso di una superpotenza – deve intervenire per salvare non solo il proprio popolo, ma l’intera umanità, da bombardamenti con armi non convenzionali.

Jonatan Della Rocca

Autore