L’European Broadcasting Union (EBU) ha confermato che Israele potrà partecipare all’Eurovision 2026, in programma a Vienna dal 12 al 16 maggio. La decisione è arrivata al termine di un’assemblea generale in cui i membri dell’EBU non hanno richiesto un voto separato sulla partecipazione israeliana, ma hanno approvato un pacchetto di nuove regole per garantire l’imparzialità del concorso. Immediatamente dopo la conferma, quattro broadcaster nazionali — RTVE (Spagna), RTE (Irlanda), AVROTROS (Paesi Bassi) e RTVSLO (Slovenia) — hanno annunciato il loro ritiro dal concorso.

Questi paesi avevano precedentemente minacciato di non partecipare qualora Israele non fosse stato escluso. Secondo i comunicati ufficiali, la decisione è dovuta alla guerra in Gaza e alla convinzione che la partecipazione israeliana comprometta la neutralità dell’evento. La scelta della EBU ha acceso uno dei momenti più controversi nella storia del concorso: quattro Paesi storici si sono ritirati, sollevando dubbi non solo sul numero finale dei partecipanti — e dunque sull’equilibrio artistico e televisivo —, ma anche sul ruolo dell’Eurovision come evento culturale “neutrale”. Altri broadcaster e nazioni stanno per decidere il loro destino; l’Islanda, ad esempio, ha annunciato che renderà nota una decisione ufficiale nei prossimi giorni. Possiamo comunque lodare la decisione presa dall’EBU e deplorare i Paesi che hanno deciso o decideranno di ritirarsi per motivi prettamente ideologici, snaturando quindi il senso universalista e inclusivo dell’Eurovision Song Contest.