“Il mondo lo salverà la bellezza,” ripeteva il Principe Myskin nel L’Idiota; ma anche Dostoevskij concorrerebbe che questo non vale se la bellezza è moralmente corrotta e politicamente collusa con un regime sanguinario e criminale. Questa sembra essere la conclusione della vicenda legata al concerto, ora annullato, che il direttore d’orchestra russo Valery Gergiev avrebbe dovuto condurre alla Reggia di Caserta alla fine di questa settimana.

Vicenda tutta italiana nell’improvvisazione con la quale, alla luce di proteste veementi di parlamentari (chapeau a Pina Picierno per l’articolata motivazione), del Governo, di associazioni di ucraini e perfino della vedova del defunto oppositore Alexei Navalny, si decide di correre ai ripari. Vicenda italiana nel pressappochismo di chi sosteneva la scelta di aver invitato Gergiev, storico alleato di Vladimir Putin e che per questo non ha più lavorato in Europa sin dall’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 (che Gergiev si è ben guardato dal condannare).
Aldilà degli stereotipi comportamentali, questa è una vicenda molto italiana soprattutto per ciò che ci dice riguardo all’annosa questione della nostra vicinanza e fascinazione culturale verso la Russia. È una storia complessa che viene da lontano. Si intreccia con l’esistenza nel nostro Paese durante la Guerra fredda del più grande partito comunista dell’Europa occidentale. Passa attraverso l’amicizia che storicamente rendeva i governi italiani colombe nelle relazioni europee verso la Russia dagli anni novanta in poi. Arriva all’episodio, mai del tutto chiarito, dei mezzi militari “Dalla Russia con amore” che attraversarono indisturbati lo Stivale in piena pandemia.

La vicenda di Gergiev riguarda direttamente le tattiche di disinformazione, interferenza e propaganda di cui gli “organi” russi sono maestri. Negli ultimi anni, abbiamo viste le punte dell’iceberg: dal Ministro degli esteri Lavrov a cui Rete4 concesse un monologo per negare l’eccidio di Bucha, agli agenti cosiddetti “illegali” che vivevano alla luce del sole di Napoli per infiltrare la base NATO. Per non approfondire i rapporti amichevoli con partiti quali Lega e 5 Stelle, che rappresenterebbero un intero capitolo a parte.
Perché la cosa che turba di più in questa storia non è tanto l’ingerenza di un regime così depravato da causare, per una volta, la levata di scudi bipartizan. Turba la difficoltà oggettiva di distinguere le malefatte di un regime dalla nostra percezione di un intero popolo. Gergiev è stato (giustamente) cancellato per la sua vicinanza personale e trentennale a Putin. Ma possiamo dire lo stesso indistintamente di tutti i privati cittadini russi o della Russia come nazione?

È per esempio di qualche giorno fa la conferma che l’Italia continua a rilasciare decine di migliaia di visti turistici ai russi. Nel solo 2024, l’Unione Europea ne ha rilasciati oltre mezzo milione per l’area Schengen. Di questi, oltre 150 mila sono stati rilasciati dall’Italia (i paesi vicini alla Russia la pensano diversamente e la Polonia per esempio ne ha rilasciati solo 251). Di questi tempi, il biglietto per raggiungere Roma dalla Russia, generalmente attraverso la Turchia, costa almeno mille euro: quindi questi non sono turisti low cost.
L’aneddotica ci restituisce scene di ricchi influencer russi che postano storie sui social o, come capitò un paio di estati fa nelle vie dello shopping di Milano, che si lamentano dei rifugiati ucraini per strada. Il Financial Times ha dedicato tempo fa una lunga inchiesta a Forte dei Marmi, dove “gli acquirenti russi si comportano da colonialisti… come un elefante che cammina, non c’è modo di contrastarli.”

Riconosco le difficoltà e l’assurdità, di cui parla fra gli altri lo scrittore e traduttore Paolo Nori finalista del Premio Strega di quest’anno, di punire un intero popolo e annichilire un’intera, ricchissima cultura solo a causa delle malefatte di un regime. Ma la vicenda Gergiev è sintomo di un’indolenza civica di cui purtroppo noi italiani siamo spesso colpevoli e che ha portato a questi estremi. Dopo tre anni e mezzo dall’inizio della guerra, gli scempi, gli orrori e il sacrificio umano degli ucraini cominciano lentamente a scemare nella coscienza collettiva e ad essere normalizzati. Per noi italiani, il tempo sarà anche galantuomo; ma è soprattutto un potentissimo anestetico.