La novità di questa guerra è la comparsa di un populismo bellico che, accanto alla rappresentazione del tragico mostrato nei suoi corpi straziati, vede il capo della resistenza collegarsi in tempo reale con i parlamenti, i vertici internazionali e rivolgersi direttamente alle opinioni pubbliche mondiali per sollecitare azioni, nuove armi, strategie di lineari escalation. Come ogni populismo, anche quello bellico prevede celeri intrecci tra tecniche della comunicazione e risposte esemplari di carattere emozionale che rischiano di condurre ad una inestricabile rete di automatismi che sfugge al controllo della razionalità politica.
Chi altri, tra i personaggi oggi in scena, può attirare nella sensibilità del pubblico forme di maggiore ripugnanza di coloro che sono etichettati come gli oligarchi? Il populismo bellico prevede il loro ingresso sul teatro di guerra come il ceto macchiato dalla colpa e destinatario perciò di una esemplare vendetta. Con una sorta di comunismo di guerra, le potenze occidentali danno la caccia ai beni dei ricchi russi e i loro yacht diventano un oggetto facile su cui indirizzare uno sbrigativo immaginario di vendetta. Senza reati, inadempimenti contrattuali, illeciti civili o amministrativi, e senza che l’Europa sia ufficialmente entrata in guerra, persone giuridiche e fisiche di nazionalità russa attirano delle sanzioni senza processo e comminate nel segno della assoluta imprevedibilità dei rapporti economici. Il comunismo di guerra varato dall’occidente si allontana dalle forme del diritto in nome della urgenza di punire comunque gli spregevoli oligarchi nei loro pacchiani simboli di opulenza.
Che si tratti di figure rozze e ripugnanti nella loro estetica dell’oro sfacciato, nel loro consumo smodato, pochi sono i dubbi. Eppure il diritto conferma la sua grande forza civilizzatrice proprio nelle situazioni più estreme e nei confronti delle condizioni umane più degradate. Quando la civilissima Inghilterra d’imperio liquida di fatto una società di calcio prestigiosa solo perché di proprietà russa o quando in ogni paese europeo vengono sequestrati beni di oligarchi senza un accertamento di colpa si lambisce con le confische simboliche qualcosa che somiglia all’eccezione economica, alla regressione civile. Che i grandi beni (non solo quelli russi) suppongano spesso grandi latrocini è acclarato. Ma non è per far valere il principio proudhoniano secondo cui la loro proprietà è un furto (di beni pubblici e comuni) che avviene la mobilitazione contro la tanta roba accumulata dagli oligarchi. È un clima di intolleranza civile che si diffonde e contraddice la cultura europea nelle sue conquiste più importanti sul terreno delle garanzie, del costituzionalismo, dei diritti dei privati.
Si può aprire il Contratto sociale di Rousseau per orientarsi su certe ambigue vicende di oggi: “La guerra non è affatto una relazione fra uomo e uomo, ma una relazione fra Stato e Stato nella quale i privati sono nemici accidentalmente, per nulla come uomini e neppure come cittadini, ma come soldati”. Gli inviti di Zelensky a cacciare i vacanzieri russi, ad espellere ovunque delle lecite attività civili e commerciali, la richiesta di sindaci ed accademie rivolta ad artisti, sportivi, ricercatori di pronunciare una professione pubblica di fede (che prevede una condanna del loro governo in modo da poter continuare ad esibirsi nel vecchio continente) appartengono ad una proclamazione per cui ogni cittadino privato in quanto tale (cioè senza riferimento alcuno ad una fattispecie di reato) è un nemico. Si intende in questo modo aderire alla guerra civile mondiale?
Ancora Rousseau è di aiuto per dipanare il problema: “Ogni Stato non può avere come nemici se non altri Stati e non uomini singoli, dato che fra cose di natura diversa non si può fissare alcun vero rapporto”. Lo Stato che con una operazione forte di sovranità liquida una società di calcio, blocca beni, attività, proprietà rende nemico il soggetto privato. L’Europa che avvia la caccia grossa ai beni degli oligarchi sembra rinunciare ad alcune delle sue acquisizioni culturali più importanti. Le ribadisce Rousseau: “Anche in piena guerra un principe giusto si impadronisce sì, in un paese nemico, di tutto ciò che è proprietà pubblica, ma egli rispetta le persone e i beni dei privati: rispetta i diritti sui quali sono fondati anche i suoi”.
Questo dualismo (pubblico-privato, Stato-società civile) è il principio costitutivo della società borghese moderna alla quale anche l’Ucraina intende ora aderire rimuovendo limiti ancora sussistenti alla circolazione dei beni, ai modi della autonomia contrattuale e commerciale. L’autonomia dell’economico, che anche Rousseau evocava nelle sue pagine, viene intaccata dal comunismo di guerra con punizioni improvvise sollecitate dal copione teatrale scritto dai registi del populismo bellico.
