La condanna di Armando Veneto strazia la giustizia calabrese: gogna e accanimento sui resti di un avvocato di 90 anni

La condanna di Armando Veneto, dell’avvocato Armando Veneto strazia la giustizia calabrese. Non quella dei giornali abituati a fare strame degli imputati, non quella delle lobbies antimafia e delle tifoserie carrieristiche. Quelli vogliono che il sangue scorra, che il pantheon dei mafiosi sia occupato in suo scranno, che nel puzzle della famigerata “zona grigia” non manchi nessuno. Ci siano tutti in quel girone infernale: avvocati, magistrati, commercialisti, carabinieri, poliziotti, politici, amministratori, persino sacerdoti. È il tragico album “Panini” di questi decenni del Terzo millennio che si riempie a colpi di processi e di ossequiose campagne di stampa, dove anche quando – nel tempo – una figurina deve essere portata via per un’assoluzione, lo strappo lascia sempre scorticata la pelle e falciata la vita.

Quella giustizia, chiamiamola così, gongola; danza sui resti di un uomo di circa 90 anni che ha subito la gogna di una condanna per la corruzione di un giudice. Si badi bene, quando si dice giustizia non si vuol dire giudici, ma parliamo di tutto quel mondo variegato, promiscuo, meticcio che intorno e dentro le aule di giustizia si muove e che ha tante volte guardato di sbieco l’avvocato Veneto. Per piccole e grandi invidie, per il timore di confrontarsi con un intellettuale insidioso e con un affabulatore ipnotico, per la durezza con cui praticava l’agone, per l’assenza di qualsivoglia ossequio verso le toghe pasticcione e pavide. Chi lo ha incontrato in toga, chi ha con lui duellato per anni resta interdetto e smarrito. Pensa a quando ha portato a casa la condanna di un suo assistito o quando, invece, ha visto cadere le proprie accuse dopo le sue dure difese; pensa ai giudici che hanno deciso quei processi e vede quel tempo evaporare nella condanna per corruzione in atti giudiziari.

Se Armando Veneto, l’avvocato Armando Veneto in decenni di professione forense avesse anche una sola volta truccato le carte, avesse anche una sola volta barato, non ci sarebbe pena capace di contenere lo sdegno e la delusione. Se Armando Veneto, il temuto maestro di tanti pubblici ministeri passati sotto le lame affilate del suo eloquio e temprati da lui allo scontro più aspro, fosse innocente non ci sarebbe assoluzione che possa mitigare l’offesa inferta alla giustizia calabrese. Le sentenze si rispettano, gli uomini di più, fino a prova contraria che neppure le sentenze, talvolta, possono dare.

Se le cose stanno così, ha poco senso inasprire lo scontro istituzionale, organizzare intorno al caso dell’avvocato Veneto l’ennesimo falò dei tentativi di dialogo tra magistrati e avvocati. È bene che ciascuno resti solo in questa vicenda e che nessuno trovi rifugio dietro le barricate delle corporazioni in lotta. Chi è stato condannato deve andare incontro al proprio destino nella assoluta fiducia che il sistema sia integro. Chi ha espresso valutazioni contrarie non deve annacquare le proprie scelte nello scudo della corporazione indignata. La giustizia italiana ha bisogno che si smorzino i toni e si puntino gli indici, cosa non facile.