La scuola durante l'emergenza covid
La didattica a distanza è un seme che darà i suoi frutti: il diario della Preside di Scampia
I docenti hanno tirato fuori ancor più la loro corporatura in cemento armato, i muscoli di ferro, le ossa di acciaio facendo di tutto, proprio di tutto, per non fallire nel loro mandato, pur di essere accanto ai propri alunni, perché da questi “mamme e papà affidatari di scuola, per elezione spontanea al tempo del coronavirus”, i bambini, direbbe Filomena Marturano, si aspettano la bella cosa se fanno i bravi, e sono loro che stanno al capezzale quando quei bambini non stanno bene. Crocifissi al computer per la salvezza, redentori e redenti di scuola, da luddisti incalliti a difensori di oggetti, altrimenti ferraglia, divenuti sacre reliquie come per una storia d’amore a prima vista, geni della lampada di Aladino che appaiono, lì, sempre puntuali all’altro capo del monitor, senza strofinio, ma con un click. E la Google Meet diventa come per magia un castello incantato con tante finestrelle luccicanti che, a poco a poco, si spera, si accenderanno.
Pazienza e pazienza, cellulari staccati, numeri disattivati, lezioni di pomeriggio fino a tarda sera perché i ragazzi chattando fino alle 4:00 del mattino non si svegliano prima delle 13:00. E loro sempre lì, irremovibili davanti a quel monitor magnete, pure di notte; come per i Rom dove nel Campo, a quell’ora, almeno quel po’ di connettività arriva o per le serate happening noi tutti insieme, pure con genitori mai conosciuti prima con sorprendenti, inimmaginabili collegamenti anche dall’estero. Giobbe si è trovata una genia di discendenti che ha soppiantato qualsiasi statistica di denatalità degli ultimi cent’anni. Certo, stakanovisti, pasionari, irriducibili nella perseveranza attiva, ma anche i meno fervorosi, i depressi, i frustrati, i “volevo far altro e ho ripiegato ….”. La DAD è un miracolo e fa miracoli. No, la DAD è un’impresa ardua e ha generato solo ardue fatiche. Però nessuno si è arreso del tutto irrimediabilmente. Un taylorismo organizzato che ha infervorato, alla fine tutti. Così per i bambini e i ragazzi, chi ha confermato l’impegno, chi si è appassionato miracolosamente alle tecnologie come mezzo e canale per imparare e produrre, chi, invece, ha continuato a pensare che la scuola e, almeno per ora, a che serve ? Anzi, ancor più adesso non fa uscire dalla miseria, dal disagio di una vita fatta di stenti. Con la stessa rabbia in corpo e il furore di interiorità sconquassate, come già adulti. Come sempre.
Eppure, nonostante la fatica enorme che non riesce a sfiacchire di certo l’entusiasmo né a soppiantare i nostri doveri istituzionali, sedicenti, “saggi” commentatori di scuola affermano: “È meglio la didattica in presenza!” L’acqua calda, l’America, l’uovo di Colombo, dimenticavo Lapalisse. Chiunque si scelga a piacimento la metafora o il riferimento che più possa dare soddisfazione in cuor suo all’evidenza del trionfo della scontatezza, dell’aver scomodato le sinapsi più interconnesse per ragionamenti così arguti. E così della scuola parla chi non ne sa nulla, non ha mai vissuto niente della scuola e nella scuola se non come alunno cent’anni fa o non l’ha nemmeno immaginata come un ideale sublime, da empireo, rivoluzionario, emblema di tutti gli ideali e i valori che nessun virus mai potrà annientare. E così si sono innescati un dibattito vacuo che oscilla tra la fiera dell’ovvietà, la maratona del parlare a ciancia, le olimpiadi del digital divide (non importa che tutti o quasi abbiano videogiochi violenti, playstation e Fortnite ultimissima edizione), dell'”a scuola subito, ma università chiuse”, senza se e senza ma. E i protocolli di sicurezza, i contagi, il diritto/dovere alla tutela della salute? Le differenze sociali rilevate solo al tempo del covid-19, se si ritorna a scuola spariscono subito? Maiora premunt.
Perché, così, la Scuola è considerata un parcheggio gratuito, il babysitteraggio di Stato, un progettificio miniera business ammortizzatore sociale. Asserzioni insistenti con un’arguzia, una pretestuosità tale da far sentire in colpa donne e uomini di autentica vocazione di scuola, che in una tale emergenza epidemiologica, stanno facendo scuola, come la farebbero in riva al mare o sul picco di una montagna. Perché chi vuole insegnare, lo fa dovunque si trovi. Con qualunque mezzo, attraverso qualsiasi canale. Perché la Scuola non è l’edificio scolastico come la famiglia non è la casa. È il luogo interiore degli affetti che la cultura lega per sempre, delle alchimie insperate mix di sapienza, emozioni, esperienze, relazioni. È una comunità con la stessa anima palpitante, stretta unita, e così ci sente, anche se si sta lontano. Come se nulla fosse cambiato. Lontano dagli occhi, ma di certo non dal cuore.
Ma, quali scie luminose su questi bui luoghi comuni, si effondono le illuminazioni del pensiero di chi, invece, nell’onestà professionale, quali ricercatori purosangue e fuoriclasse, con le loro profonde intuizioni e intelligenti, leali, realistiche speculazioni, con una lucida analisi del presente dettata da precipue contingenze, sta prospettando, insieme ai Caschi blu della Scuola, un modello di sistema scolastico che ha alla base il recupero attivo della sua dimensione etica e pragmatica per includere davvero tutti in modo sostanziale, e non meramente formale. Tra alcuni, Roberto Maragliano, Giancarlo Cerini, pedagogisti appassionati di chiara fama, hanno continuato a rigenerare gli scenari del futuro della Scuola che ormai avrà un’anima ibrida in vista di una prossima fusione a sistema conciliante opposti un tempo considerati “croce e delizia”, gli uni o gli altri, in base al punto di vista, tra analogico e digitale (libri e tablet), tra umanesimo e tecnologie (processi progettuali di idee, sentimenti, ideali e valori che si veicolano attraverso i sussidi multimediali) contro la deleteria tecnocrazia, tra azioni in presenza e interazioni a distanza (una socialità intercomunitaria e mondiale che supera limiti e confini di comunicazione). Perché la Scuola è un prisma, è riflesso della pluralità di tutte le istanze di rinnovamento, di miglioramento di una società civile.
La Scuola al tempo del covid-19, come nel pensiero del filosofo Giuseppe Ferraro, è dei legami interiori, viscerali, che ora si sono riannodati e rinsaldati come non mai. Appartiene a loro. Grazie, Massimo Recalcati. Stati Generali della Scuola Anno Zero. Il cambiamento è partito.
Silenzio, allora! Parla la Scuola autentica.
*Rosalba Rotondo è preside dell’Istituto Alpi Levi di Scampia
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