Che cosa farà la destra in argomento di giustizia, si vedrà. Che cosa vorrebbe fare, invece, Giorgia Meloni l’ha lasciato intendere molto chiaramente spiegando che lei è “garantista quando è il momento del processo e giustizialista quando è il momento della pena”. Un’impostazione e un programma di giustizia piombata che né qualche vaga proclamazione liberale, né qualche candidatura posta a rappresentarla a mo’ di foglia di fico, bastano davvero a ingentilire.
Sfugge a una destra così impostata che la gran parte dell’incivile giustizia italiana risiede proprio nelle pene smodate e nel modo e nei luoghi in cui esse ricevono esecuzione: e dire che bisogna essere garantisti se uno va a processo e giustizialisti se lo condannano, assomiglia parecchio alla tesi per cui bisogna andar cauti e rispettosi quando si deve decidere se torturare qualcuno, e rigorosi mentre lo si tortura. Può essere un processo perfetto, infatti, presidiato da garanzie efficaci e irrevocabili, anche quello che appunto conduce a una pena incivile o incivilmente eseguita; e occuparsi del diritto alla difesa si risolve in poca cosa se il destinatario del processo impeccabile diventa la vittima dell’aguzzino.
La verità è che l’approccio garantista di certa destra si manifesta ancora e come sempre nell’idea che il diritto individuale sia un fronzolo da rispettare se agghinda gli abiti della gente dabbene, ma è un affare inutile e anzi un’oltraggiosa pretesa quando è invocato dalla canaglia. Questa storia che l’importante è la certezza della pena dovrebbe essere bandita dal nostro discorso pubblico, almeno sino a che è raccontata nel Paese in cui è certissimo che molto spesso la pena è alternativamente illegale o ingiusta, ed illegalmente o ingiustamente eseguita. Ma non è di questa certezza che si occupano le istanze sicuritarie della destra, la quale pare accontentarsi del fatto che a preludio dell’ignominia penal-carceraria intervenga un processo ammodino.
Perché poi a rimpolpare le prospettazioni di quella tradizione politica è sempre la campagna delle nascite di nuove figure di reato, punire e punire e punire, e un sanissimo disinteresse anche per la sola idea che si tratti, al contrario, di punire meno o di non punire affatto e, soprattutto, di dedicare attenzione e investimenti per far cessare il lavoro di questa fabbrica di disperazione, di violenza, di malattia, di morte, che è il carcere italiano.
“Costruirne di più” è la bella ricetta che anche da quella parte si continua a proporre, in non casuale consonanza di intenti con le formazioni reazionarie della magistratura militante che, tra due ali di carabinieri e in faccia a una foresta di microfoni e telecamere, organizza le conferenze stampa ai margini dei rastrellamenti giudiziari. Vedremo, insomma. Ma se è quel tipo di giustizia che la destra ha in mente, allora non deve nemmeno impegnarsi troppo: basta che lasci le cose come stanno. E, se proprio serve, può chiedere qualche utile consiglio a un pubblico ministero di fiducia.
