La guerra in Ucraina è diventata un videogame tra droni, dirette e like: ma i morti non si contano

Dura solo 47 secondi e il filmato è presente su tutte le testate di informazione on line. È in bianco e nero, con una messa a fuoco non perfetta e sembra un videogioco di qualità mediocre. Il titolo, con cui in genere è presentato è “Mar Nero, il drone ucraino distrugge la nave da sbarco russa all’isola dei serpenti”. Si vede la sagoma di una imbarcazione e, poi, d’improvviso una fiammata che avvolge tutta la scena. Quando le fiamme si dissolvono, la scena torna quasi identica a prima e l’imbarcazione sembra allontanarsi lentamente dal molo al quale era ormeggiata.

Si tratta di immagini, che fanno seguito ad altre immagini simili di mezzi militari russi colpiti: carri armati, mezzi corazzati per il trasporto di truppe, la nave ammiraglia Moskva. Ma nel filmato relativo alla distruzione del mezzo da sbarco vi è qualcosa in più. Prima della fiammata si vedono dei puntini neri che si muovono: due a prua, due a poppa ed uno sulla banchina. Dopo la fiammata, vi sono delle sagome stese: sono cinque cadaveri. Offerti alla curiosità di tutti senza nessuna pietà. Un elemento accessorio della scena. Il miglior commento sembrano essere le parole, con cui ha chiesto aiuto tramite un post su Facebook, il maggiore Serhiy Volyna, della 36esima Brigata Marina Separata in Ucraina, attualmente bloccato nell’acciaieria Azovstal di Mariupol, con le truppe del reggimento Azov: «È come se ci trovassimo in un reality show infernale, dove noi siamo i militari, combattiamo per le nostre vite, tentiamo ogni possibilità per salvarci, e il mondo intero sta solo a guardare una storia interessante. L’unica differenza è che questo non è un film e noi non siamo personaggi di fantasia».

Nel racconto della guerra, che viene quotidianamente proposto dai maggiori organi di informazione, è come se vi fossero due facce appartenenti a storie completamente diverse: da un lato gli orrori delle violenze inferte ai civili, soprattutto vecchi, donne e bambini (si pensi a Bucha, ma non solo); dall’altro la dimensione asettica, da videogioco, della lotta tra gli eserciti. La prima faccia è quella destinata a raccogliere l’indignazione e la commozione di tutti. L’altra è materia di tifo, nella quale si calcola il numero dei mezzi distrutti e quello dei morti allo stesso modo nel quale si calcolano i punti nei videogiochi. Come se quelle dei militari non fossero vite di persone. Quasi che la guerra in Ucraina, come qualsiasi altra guerra, fosse una cosa brutta solo per le conseguenze sui civili, mentre sarebbe uno spettacolo interessante e, anzi, coinvolgente ed emozionante lo scontro tra i militari, condotto con le moderne tecnologie, che consentono di ridurre la contrapposizione fisica diretta. E non si tiene conto della circostanza che anche i militari sono persone, ciascuna di esse al centro di un micromondo affettivo e sociale.

La circostanza che anche i militari siano persone, poi, è tanto più rilevante in una guerra come questa, combattuta da individui che nessuna volontà avevano di combatterla. Gli Ucraini sono stati aggrediti e perciò costretti a difendersi, e quindi non può essere certamente addebitato a loro il conflitto. Ma, anche tra gli aggressori, molte prove raccolte sul campo (dichiarazioni di militari presi prigionieri, intercettazioni di telefonate) dicono che troppo spesso si tratta di giovani coscritti, mandati alla guerra addirittura a loro insaputa e minacciati di essere trattati da traditori se avessero esitato, quando hanno realizzato quale fosse il loro destino. Ecco, allora, che, se si tengono presenti questi aspetti, nella visione del filmato sulla distruzione della nave da sbarco russa, il sentimento prevalente, almeno per chi non partecipa direttamente alla guerra, non può essere la compiaciuta ammirazione per l’efficienza del drone Bayraktar, di fabbricazione turca, che a distanza e senza sporcarsi le mani consente la distruzione del mezzo nemico.

Ci sono quei cinque cadaveri, che non possono essere ignorati, che impongono pietà e che ricordano che non è né uno spettacolo né un videogioco. La tecnologia applicata alla guerra, per quanto evoluta, non può e non deve far dimenticare i sentimenti di umanità. La guerra, dunque, è una tragedia per tutti. Certamente lo è per i civili. Ma lo è anche per i militari degli eserciti in campo. Se si è consapevoli di questo non si può non essere anche consapevoli del fatto che la pace è una urgenza assoluta, quale che sia la prospettiva nella quale si guarda al conflitto. Né le sofisticate tecnologie utilizzate sul campo possono occultare che la posta in gioco è, innanzitutto, la vita di migliaia di persone. Tale urgenza coinvolge la responsabilità dei leader. E, perciò, non solo di Putin, ma anche di Biden e di Xi Jinping. Putin è l’aggressore, e non serve altro per delinearne le responsabilità.

Biden sta mostrando, in tutti i modi, la volontà di usare la guerra in Ucraina per indebolire o, addirittura, eliminare Putin. E, perciò, sta partecipando attivamente ad essa, mostrando così di non lavorare per la pace. Ma anche Xi Jinping sembra osservare sornione cosa accade per trarne i maggiori benefici possibili per il suo paese e per la sua leadership. E certamente, almeno sinora, non si è attivato per conseguire la pace. In definitiva, occorre, con tristezza, prendere atto che l’unico Leader, consapevole fino in fondo che questa guerra non è un videogioco, e che realmente vuole, con tutte le sue forze, la pace è Francesco.