“La lotta al riarmo non deve iniziare dal disarmo di chi resiste”, parla Achille Occhetto

Bologna, 12 novembre 1989. Durante le celebrazioni per il 45° anniversario della battaglia di Porta Lame – combattuta tra i partigiani della 7ma Gap e le forze d’occupazione tedesche e fasciste – Achille Occhetto, segretario del Partito comunista italiano, annuncia la “svolta della Bolognina”. Il luogo scelto, racconta del profondo legame tra Occhetto e quella resistenza antifascista, e i suoi protagonisti, i partigiani. Quella resistenza antifascista che è a fondamento della Costituzione repubblicana. Oggi che il 25 aprile è sotto attacco, Il Riformista è tornato a bussare a “casa Occhetto”.

Il 25 aprile sotto attacco. C’è chi sostiene che l’Anpi abbia tradito i valori della resistenza partigiana non sostenendo con la necessaria nettezza la resistenza ucraina. Un’accusa rivolta anche al movimento pacifista. Lei come la vede?
La vedo esattamente come il Presidente della Repubblica là dove afferma che il 25 aprile ci ricorda anche «un popolo in armi per affermare il proprio diritto alla pace dopo la guerra voluta dal regime fascista» e che fu «un’esperienza terribile; che sembra dimenticata, in queste settimane, da chi manifesta disinteresse per le sorti e la libertà delle persone, accantonando valori comuni su cui si era faticosamente costruita, negli ultimi decenni, la convivenza pacifica tra i popoli». Mattarella in questo suo messaggio ha detto con chiarezza che l’appello alla pace non significa arrendersi di fronte alla prepotenza. La Resistenza è questa, e non può essere messa sotto attacco, malgrado le imbarazzanti posizioni assunte dall’attuale Presidente dell’Anpi, peraltro contraddette da molti “veri” partigiani. I quali sanno per esperienza diretta che non si possono mettere sullo stesso piano le pallottole dell’aggressore e quelle dell’aggredito. Io sono decisamente per il disarmo. Ma la lotta al riarmo generalizzato non deve iniziare dal disarmo di chi resiste al sopruso di un imperialista aggressore qual è Putin. Una parte della sinistra non ha ancora capito che non c’è un solo imperialismo. Nello stesso tempo le polemiche del momento non dovrebbero farci smarrire le prospettive di un nuovo ordine mondiale, che non può dividere il mondo in oriente e occidente, e che non potrà essere ridefinito con lo stesso spirito con cui Putin sta tendando di riaprire uno scontro tra Est ed Ovest. Per questo vedo anche con preoccupazione la tendenza ad archiviare il tema generale del disarmo bilanciato e della messa al bando di tutte le armi di distruzione di massa. Per questo dico che bisogna affermare con forza che non vogliamo che la sporca guerra di Putin detti l’agenda all’umanità nella direzione del riarmo e dell’uso delle armi di distruzione di massa, impegnandoci per la loro messa al bando. È su questi temi che dovrà impegnarsi un autentico pacifismo.

Con quale orizzonte?
Andando oltre un logoro atlantismo, sia sul piano culturale che quello di una nuova visione universalista del mondo e delle relazioni internazionali. Nello stesso tempo è lecito parlare degli errori compiuti dall’Occidente, riguardanti, dopo la caduta del Muro, la mancata accortezza volta a mettere in campo una politica estera di più alto respiro, volta, non a isolare la Russia, ma a coinvolgere tutti nella ricerca di un comune modello di sicurezza collettivo, e sul tema di una nuova riorganizzazione dei rapporti internazionali dopo il crollo del bipolarismo della guerra fredda. Tuttavia l’analisi degli errori del passato deve servirci non per assumere atteggiamenti equidistanti, quanto per incominciare a pensare alla futura riorganizzazione delle relazioni internazionali. Sono proprio le posizioni opache assunte da una parte minoritaria della sinistra a incoraggiare l’ottusità del vecchio atlantismo. E questo mi addolora.

L’antifascismo è stato un elemento fondante dell’identità della sinistra italiana oltre che aver ispirato la Costituzione nata, per l’appunto, dalla resistenza. Non crede che col passare del tempo, la sinistra abbia in qualche modo se non accantonato quanto meno rinunciato a declinare al presente quel valore?
Per declinarlo al presente occorre partire da un assunto fondamentale: se in una democrazia la libertà non coincide con l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, allora non basta più dirsi democratici. Come sostengo nel mio ultimo saggio (Perché non basta dirsi democratici – ecosocialismo e giustizia sociale. ed. Guerini). In Italia si è aperta l’opportunità di impostare il rapporto tra libertà e uguaglianza a partire da alcune significative acquisizioni contenute nella Carta costituzionale. In particolare, da due parole magiche – «rimuovere gli ostacoli» –contenute nell’articolo 3 comma 2 della Costituzione. È proprio questo comma che mi ha suggerito la processualità del movimento verso il socialismo, la possibilità stessa di introdurre elementi di socialismo all’interno del capitalismo. Si tratta di un testo che, come ebbe a commentare un grande costituente, Piero Calamandrei, aveva un evidente valore progettuale, ponendosi decisamente contro il vecchio ordine sociale. Era il più alto compromesso a cui era giunta la «democrazia antifascista», che si muoveva verso un nuovo ordine sociale, e dal quale appariva chiaro, come scriverà successivamente l’estensore dell’articolo 3 della Costituzione, il socialista Lelio Basso, che non c’è democrazia finché sussistono diseguaglianze economiche e sociali.

Senza memoria non c’è futuro, si ripete in ogni dove. Ma è accettabile una memoria “selettiva” che dimentica o ritiene secondari conflitti che pure segnano i nostri tempi? C’è una gerarchia degli orrori e della sofferenza?
È del tutto evidente che non c’è nessuna gerarchia tra gli orrori. Bisogna smetterla con la miserevole tendenza a giustificare gli orrori degli uni con quelli degli altri. E a sorvolare su quelli che vengono considerati conflitti secondari a cominciare dal martoriato popolo palestinese costretto nell’angolo del deprecabile terrorismo dalle “occidentali” inadempienze delle risoluzioni dell’Onu. Altro che scontro di civiltà! In un mondo dominato dal razzismo e che misura l’accoglienza dal colore della pelle o che, come Johnson, spedisce gli sfollati ucraini in Ruanda, in bocca a un regime autoritario, in cambio di un compenso monetario. Che a casa mia si chiama commercio di esseri umani. Un crimine.

Mentre il fascismo era ancora saldo al potere, a Ventotene un gruppo di esiliati davano vita ad un “sogno”: quello degli Stati Uniti d’Europa. Le chiedo: cosa è rimasto oggi di quel “sogno” e di fronte alla guerra l’Europa ha dato prova di sé?
La nuova, sia pure parziale, unità dell’Europa davanti alla guerra non ci fa vedere ancora un impegno complessivo volto a rivedere il complesso dell’architettura europea nella direzione dell’Europa politica e, tantomeno, a rimettere al centro la funzione di una Onu riformata. A mio avviso non si dovrebbe partire dal riarmo di ogni singolo paese, occorrerebbe capovolgere il punto di partenza, prendendo le mosse dalla definizione degli obbiettivi di una politica estera e di sicurezza comune. L’esercito viene dopo. Prima si è fatta l’Italia e dopo l’esercito italiano e non viceversa. Bisogna incominciare, come sostengo da tempo, ad abolire il diritto di veto mettendo il bavaglio agli autoritarismi interni al nostro occidente, che impediscono all’Europa di svolgere la sua missione di pace e di giustizia sociale. Infatti in una autentica cultura mondialista l’Europa dovrebbe entrare come potenza continentale nel concerto delle nazioni con l’obiettivo di cambiare lo spirito angusto e irresponsabile che domina l’attuale geopolitica. Questo è il suo compito storico. E non quello di diventare un nuovo attore dentro gli schemi neoimperiali dell’attuale geopolitica. Ma non è sufficiente occuparsi di sicurezza esterna. Oggi il tema della sicurezza coinvolge quello della sicurezza ecologica e di quella sociale. Come scrive Letta nel suo interessante manifesto sul nuovo ordine europeo “mai come ora esiste un nesso inscindibile tra democrazia e modello sociale europeo” riproponendo il tema di una forte dimensione sociale, senza la quale non c’è, come sosteneva lo stesso Delors, la possibilità per il progetto europeo di raccogliere il sostegno dei cittadini europei. E di battere, aggiungo io, i populismi alleati a Putin. Per questo non basta dirsi democratici.

La Francia ha riconfermato Emmanuel Macron alla presidenza. L’Europa può tirare un sospiro di sollievo?
È una bellissima notizia. Questa vittoria è anche il risultato di un cambiamento di registro verso le istanze sociali e le sensibilità del voto di sinistra. C’è da sperare che vada oltre le mere accortezze elettorali. Adesso Macron potrà svolgere un importante ruolo nella ricerca della pace sulla base di una funzione più autonoma dell’Europa. Comunque, evviva!