Tra due giorni celebreremo la Liberazione, celebreremo cioè lo strettissimo legame tra Resistenza, Liberazione, Costituzione che semplicemente non sarebbe esistito e non avrebbe dato i suoi preziosi frutti se in quei durissimi anni tra la fine della guerra e la nascita della Repubblica avesse prevalso l’opzione della resa. L’attuale situazione del conflitto russo-ucraino è di tutta evidenza profondamente diversa, ma ci sta imponendo una riflessione e un’assunzione di responsabilità politica, culturale e istituzionale sul che fare di fronte a un’aggressione militare in Europa da parte della potenza nucleare russa. Ci ripropone anche – seppure con sembianze nuove, come sempre avviene nella storia – quello che Agnes Heller definiva il paradosso dell’Europa: “L’Europa del fanatismo nazionalista e l’Europa dell’universalismo umanista sono la medesima Europa. L’Europa è l’incarnazione di un paradosso. […] Gli stati nazionali e la loro ideologia di governo, il nazionalismo, fanno la loro comparsa proprio con il credo universale del valore dell’Umanità”.

Il fanatismo nazionalista putiniano, che pure ha delle radici storiche extraeuropee e zariste e sovietiche sue proprie, ha trovato forti legami e corrispondenza in strati non insignificanti delle opinioni pubbliche europee. Ciò a dispetto della compattezza iniziale che l’Ue e l’Occidente democratico hanno mostrato nelle risposte all’aggressione. Tale complicità, con fatica e qualche imbarazzo, è nascosta e dissimulata per convenienza dalle principali forze politiche sovraniste europee. Ma una complicità di fatto si ritrova proprio nel cosiddetto pacifismo radicale, che preferirei definire pacifismo estremista. Il direttore Sansonetti ha rifiutato da queste pagine la contrapposizione tra pacifismo e nonviolenza, non accettando che si sostenga la loro inconciliabilità. Su questo dissento profondamente, restando convinto che la lettura pannelliana sia illuminante e soprattutto sia illuminata dall’esperienza storica.

Era il febbraio del 1991 quando Marco Pannella rispondendo alla domanda di Paolo Franchi: “Pannella, come mai, anche nei suoi discorsi in congresso, tanta polemica contro il pacifismo?”, scandiva: “Perché i giovani sappiano, i vecchi ricordino e si cessi di ingannarli: il pacifismo in questo secolo ha prodotto effetti catastrofici, convergenti con quelli del nazismo e del comunismo. Se il comunismo e il nazismo sono messi al bando, il pacifismo merita di accompagnarli”. Franchi lo incalzava: “Resta il fatto che, con la guerra, l’idea stessa di nonviolenza è stata sconfitta…”. “No, e nemmeno la forza politica non violenta, visto che non è mai esistito in modo organizzato con una strategia politica dell’oggi per l’oggi. Non violenza e democrazia politica devono vivere quasi come sinonimi. Da un secolo non vi sono guerre tra democrazie, diritto e libertà sono la prima garanzia. E il pacifismo storico, nei fatti, lo ha sempre ignorato”. La nonviolenza non è ascesi né testimonianza, ma uso della forza legittima contro l’oppressore. Quando c’è la guerra perché un esercito ha aggredito un paese sovrano l’uso legittimo della forza comprende necessariamente come extrema ratio l’uso delle armi.

Sostenere che la resa avrebbe garantito minori sofferenze significa, a parere di chi scrive, non avere compreso l’obiettivo di cancellazione dell’Ucraina e della sua società come soggettività storico-politica sovrana. Questo significa denazificazione. Per questo continuo a sostenere che non si possa non aiutare in ogni modo il popolo ucraino costretto all’uso delle armi per non soccombere e per ristabilire il diritto contro l’uso brutale della forza che viola il diritto. È una decisione difficile e con le sue contraddizioni che impongono azioni politiche immediate sul piano delle giurisdizioni internazionali, della diplomazia, delle sanzioni, del rilancio dell’integrazione politica europea. Azioni che con fatica sono state messe in atto e che richiedono lo sforzo di tutti. Preferisco rischiare l’incoerenza agli occhi di alcuni, sostenendo l’invio di armi e dovendo sempre aggiungere che considero mortale la convinzione che la guerra sia una continuazione della politica, piuttosto che vivere un atteggiamento di indignata contemplazione che si traduce in complicità con l’aggressore. E in definitiva nella conferma che chi aggredisce vince sempre.

“Il pacifismo, è terzaforzista tra colui che fa il genocidio e il popolo che è sottoposto al genocidio –avvertiva Pannella– da questo secolo è la vergogna della nonviolenza ghandiana”. E proseguiva “è vergognoso, come diceva Gandhi, che quando bisogna lottare in difesa dei diritti di vita, devi scegliere tra il non farlo e il farlo con le armi. A questo punto, diceva Gandhi, meglio il violento che difende il non violento sui diritti negati contro l’oppressione, che non il codardo che non fa nulla. La cifra dell’Europa è la cifra della codardia prima di questo intervento perché ha portato alla supremazia del nazismo prima, e del comunismo poi e alle dittature come quelle di Milosevic.’’
La costruzione dell’Europa politica si è animata o rianimata solo sotto la pressione di gravissime crisi.

L’integrazione europea nasce dalla Resistenza europea, o almeno da una minoranza in essa, più lucida e lungimirante. Oggi si può e si deve rianimare grazie alla Resistenza ucraina che è resistenza europea. Con questo spirito il 25 aprile saremo in piazza a Roma con la Federazione Italiana Associazioni Partigiane, l’Associazione nazionale partigiani cristiani, la Federazione Italiana Volontari della Libertà, l’Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, l’Associazione Nazionale Famiglie Vittime Martiri Fosse Ardeatine e l’Associazione Cristiana Ucraini in Italia.