Con la sua risposta al nostro articolo, Michele Prospero ci attribuisce un obiettivo che non abbiamo mai espresso in nessuno dei nostri interventi sull’argomento: («la rimozione di Putin come obiettivo di una guerra propedeutica ad un nuovo ordine mondiale e quale condizioni e imprescindibile per il negoziato con i capi di una nuova Russia finalmente liberata dall’ex capo delle spie»). Il nostro obiettivo è molto più limitato: prescindendo da quello che può avvenire in Russia noi riteniamo che tutti i Paesi democratici devono sostenere la legittima resistenza ucraina alla aggressione anche con l’invio di armi vista la estrema sproporzione nella forza militare fra lo stato aggressore e la nazione aggredita. Solo in questo modo, in assenza di un intervento diretto della Nato che è stato escluso, c’è qualche possibilità di bloccare l’aggressione di Putin, di costringerlo prima a una tregua, quindi ad una trattativa. Si tratta di obiettivi del tutto diversi da quelli che, con una indebita forzatura, ci attribuisce Michele Prospero.

Nel contempo abbiamo la consapevolezza che si tratta di risultati assai difficili da raggiungere per le ambizioni neo imperiali che ispirano l’azione di Putin, perché finora egli ha escluso ogni reale trattativa ribadendo il rifiuto anche agli interlocutori europei che lo hanno interpellato. Per Putin la situazione non è ancora matura (evidentemente gli servono altre conquiste territoriali, altre città rase al suolo, altri reparti ucraini annientati, altre stragi di civili, altre donne violentate). E veniamo al merito sul quale fra noi e Prospero il dissenso appare incolmabile. Prospero preferisce sorvolare su Putin, non spende una parola sulla aggressione, non esprime valutazioni sulla sua dottrina geopolitica, sugli aspetti odiosi del regime che ha instaurato in Russia (l’assassinio degli oppositori più pericolosi, l’arresto dei manifestanti, l’eliminazione di ogni libertà di stampa e di opinione).

Michele Prospero concentra i suoi attacchi sugli Usa, sulla Nato, sull’eventuale estensione della Unione Europea, financo su Kiev che considera “uno stato quasi fallito”, ignorando del tutto le ragioni della sollevazione popolare del 2014, che due presidenti sono stati eletti dal popolo, uno dei quali, Zelensky con il 72 per cento. La verità è che Putin è portatore di un disegno imperialistico, fondato sul progetto della “Grande Russia” che comporta il dominio su un’area che un tempo faceva parte dell’Urss, un’area da ricondurre sotto il proprio controllo ricorrendo a tutti i mezzi, anche a quelli militari, come hanno dimostrato l’attacco alla Georgia nel 2008, l’occupazione della Crimea e adesso l’invasione della Ucraina senza alcun rispetto delle popolazioni civili e calpestando quelle regole destinate a limitare la tragicità delle sciagure prodotte dalla guerra. Putin non riconosce all’Ucraina alcuna identità nazionale, culturale e statuale. La verità è che l’Ucraina non è una nazione inventata a tavolino pochi anni fa o dopo il crollo dell’Urss. L’aspirazione alla indipendenza degli ucraini ha uno spessore storico.

Dentro l’impero russo del quale facevano parte i Paesi baltici e la Polonia, all’inizio dell’800, l’Ucraina ha iniziato a sviluppare il suo movimento verso la indipendenza. Un sentimento nazionale che si è manifestato anche durante il periodo sovietico. Perché allora una tale ferocia da parte della armata di Putin? Attacchi deliberati contro i civili, la distruzione di case, ospedali, scuole? Il filosofo americano Michael Walzer dà una spiegazione razionale del carattere sistemico dei crimini finora commessi dall’esercito russo in Ucraina. In una intervista a Repubblica intitolata “Cari liberal, quello di Putin è un genocidio culturale” così si è espresso Walzer: “Gli attacchi contro i civili, l’uccisione dei prigionieri e delle persone con le mani legate dietro la schiena che abbiamo visto nei sobborghi di Kiev, sono crimini di guerra. Il genocidio è l’atto deliberato di cancellare una popolazione. E finora non sembra quanto Putin ha in mente. Per ora riserverei questo termine agli ebrei, gli armeni, i ruandesi. C’è però anche il concetto di genocidio culturale. E diversi media russi lo invocano. Forse non vogliono uccidere tutti gli ucraini, ma distruggere l’ucrainità, l’idea stessa di essere ucraini. C’è’ anche un altro termine per descrivere quanto sta accadendo: policide, ossia la distruzione di uno Stato, o di una entità politica e sociale indipendente. È diverso dal genocidio, ma è un atto orribile in corso”.

Nella ricostituzione della “Grande Russia le cose possono non fermarsi alla Ucraina, ma procedere oltre, investire la Moldavia, i Paesi Baltici, riguardare anche la Finlandia e la Svezia. Secondo Putin e i suoi teorici, infatti, l’Occidente è in crisi segnato da una profonda decadenza politica e morale, l’Europa è spappolata, incapace di difendersi e di battersi. Partendo da questa ideologia, Putin in Russia ha fondato una autocrazia intrecciata con una cleptocrazia: gli oligarchi si sono dislocati in molte nazioni europee (per ciò che riguarda l’Italia è molto interessante la lettura del libro di Iacoboni e Paolucci: Gli Oligarchi) in questo modo il “sistema Putin” ha “comprato” leader politici, interi partiti, qualche ambasciata, manager e gruppi economici in modo da creare una rete di complicità che poi avrebbe coperto le sue ambizioni e tutte le sue operazioni militari. In Crimea le cose sono andate esattamente così. Secondo gli analisti di Putin, l’Ucraina sarebbe dovuta cadere in pochi giorni con un blitz che avrebbe dovuto conquistare Kiev, eliminare Zelensky e il suo governo con il concorso di una larga parte del popolo. Le cose sono andate in modo esattamente opposto. Il popolo, l’esercito e Zelensky hanno deciso di resistere e hanno chiesto l’appoggio dell’Occidente. A quel punto sono cambiate molte cose. Putin ha fatto il passo più lungo della gamba e con tutti i suoi eccessi militari ha suscitato l’allarme dell’Occidente e della stessa Nato. L’Occidente ha preso coscienza del fatto che ai suoi confini al Nord c’è una minaccia che se non viene bloccata in tempo, passo dopo passo, mette tutti di fronte a una alternativa drammatica: o si accetta una egemonia di segno autoritario, o si rischia la terza guerra mondiale. Proprio per evitare questo pericolo Putin va bloccato oggi.

Ciò spiega perché si siano manifestate reazioni assolutamente straordinarie. Il governo tedesco ha deciso di rovesciare la linea della Merkel che aveva concentrato tutta la sua attenzione sulla bilancia commerciale tedesca non avendo fatto alcuna seria analisi dei rischi di natura geopolitica che si andavano palesando per l’Europa di fronte alla strategia imperialista di Putin. Di conseguenza il cancelliere Scholz ha stanziato ben 100 miliardi di euro per rafforzare l’esercito. Ancor più clamoroso il rovesciamento della tradizionale neutralità della Svezia e della Finlandia. Nel corso della “Guerra fredda”, Svezia e Finlandia si erano abbastanza fidati del realismo opaco ma lineare dei segretari del Pcus da Krusciov fino a Cernenko, invece, visto quello che sta combinando, non si fidano affatto dell’avventurismo dell’ex capo della Fsb, alimentato dalla lettura dei testi di Dugin e di alcuni filosofi della Russia bianca che hanno esaltato i valori della Eurasia in alternativa a quelli decadenti e dissoluti dell’Europa libertina. Sulla base di questo retroterra ideologico e di uno smisurato e ossessivo nazionalismo predatorio (chiaramente di destra) Putin ha rotto la Pax europea durata ininterrottamente dal 1945. Una Europa che, come dimostra quello che è accaduto nel XX secolo, è sempre stata decisiva ai fini della alternativa fra la pace e la guerra a livello mondiale.

Per fare i conti con una simile minaccia è fondamentale la deterrenza ecco perché nell’immediato è giusto l’aumento delle spese militari dei singoli stati europei e che, in attesa che si arrivi all’auspicabile esercito europeo che però richiede passaggi di non poco conto, venga rilanciato il ruolo della Nato. Coloro che attaccano come guerrafondai i sostenitori di queste posizioni sull’aumento delle spese militari e sul ruolo della Nato non si rendono conto che solo attraverso di esse si evitano guai peggiori: il progetto di espansione della Russia di Putin fa i conti solo con le forze militari in campo. Allo stato, su una linea di questo tipo c’è nel nostro Paese, in primo luogo Mario Draghi. Forse c’è stato un intervento della provvidenza nella ricostituzione di un binomio – quello di Draghi e di Mattarella – che rappresenta una garanzia di tenuta dell’Italia da molti punti di vista. Intorno a questa linea si ritrova la maggioranza degli italiani, i quali avvertono drammaticamente la esigenza di porre fine al conflitto ma sanno che ad un compromesso onorevole si potrà giungere a condizione che sia fermata l’aggressione e si rispetti la dignità di un popolo aggredito.

Fabrizio Cicchitto, Umberto Ranieri

Autore