L'editoriale
La pace perpetua contro le guerre nel mondo. Il sogno di Kant oggi è una magra illusione
In una contemporaneità che istituzionalizza le celebrazioni annodando a ogni giorno che Dio comanda una qualche ricorrenza, può tornare utile un anniversario a cifra tonda che va all’incontrario di ciò che ricorre in queste ore di guerra calda. 230 anni fa, infatti, Immanuel Kant pubblicava il suo saggio – peraltro svelto e comprensibile anche dai non cultori – dal titolo Per la pace perpetua. Certo, non appare proprio facilissimo spiegare Kant all’Ayatollah Khamenei, a Putin e a Trump; insomma, ai protagonisti delle odierne cronache di guerra. Forse, però, faremmo bene a darci un’occhiata noi, gente del popolo che – come ricordava il filosofo – la guerra non la vuole mai perché si sa che tutte le più orrende conseguenze toccherebbero ai cittadini, mentre chi è al vertice dello Stato non subirà alcun disagio, potendo «dichiarare la guerra come una specie di gara di piacere per futili motivi».
I motivi di cui si discute in questi giorni sicuramente futili non sono, ma neanche sono dotati della forza travolgente capace di spazzare via le ragioni di Kant, che ricordava come «la guerra non ha bisogno di avere un motivo particolare che la faccia nascere, sembra invece connaturata all’uomo e presentarsi anche come un qualcosa di nobile». Per questo il filosofo fondava le sue tesi sulla pace perpetua non in base a un precetto etico, bensì su un solido telaio giuridico, visto che non c’è investimento possibile da fare sulla natura pacifica degli esseri umani: «Infatti non è in gioco il miglioramento morale degli uomini, ma si tratta di sapere come si possa utilizzare il meccanismo della natura per organizzare il conflitto dei sentimenti non pacifici».
Dunque, il diritto come supremo regolatore di rapporti tra uomini e tra Stati, suddiviso in ius civitatis (diritto pubblico civile che regola i rapporti tra uomini), ius gentium (il diritto internazionale, chiamato a regolare il rapporto tra Stati) e ius cosmopoliticum (diritto cosmopolitico, che sovrintende ai rapporti tra singoli e Stati). Una bella edizione di Per la pace perpetua. Progetto filosofico è reperibile con la ri-edizione del 2024 per i tipi di Feltrinelli e due saggi rilevanti per contenuto, uno di Veca e l’altro di Burgio, due accademici impegnati nell’area della filosofia politica. A quel testo rinviamo il lettore curioso di approfondimenti filosofici. A noi riserviamo solo qualche domanda.
Che cosa resterebbe oggi della tripartizione dei diritti disegnata da Kant? Lo ius civitatis chiamato a regolare i rapporti tra persone umane sembrerebbe soppiantato dalla privatizzazione dei diritti fatta dalle grandi multinazionali e dagli over the top che hanno squassato i confini nazionali, sospingendo il diritto privato oltre i tribunali statali. Ma non è questo che intendeva il filosofo quando parlava di ius cosmopoliticum, inteso come insieme di princìpi giuridici che superano l’area della sovranità nazionale e guardano a una specie di cittadinanza mondiale, principio caro alla grande codificazione dei diritti umani del Dopoguerra, parallela all’avvento delle costituzioni democratiche nell’Europa occidentale. Kant, infatti, sosteneva che ogni essere umano, in quanto tale, è portatore di diritti fondamentali che vanno riconosciuti e tutelati indipendentemente dalla sua nazionalità. Quanto al diritto internazionale, lo ius gentium, inteso come strumento di regolazione dei rapporti tra Stati e di prevenzione delle ragioni di conflitto, non proviamo neanche più a domandarci che fine abbia fatto: fa sintesi il caso Onu, l’entità sovrastatale che forse più di qualunque altro strumento dimostra l’inciampo del diritto internazionale.
Siamo dunque destinati a tornare al grado zero descritto da Kubrick nella scena finale di 2001: Odissea nello Spazio, protagonista l’ominide con le fattezze di orango inquadrato durante il lancio minaccioso verso il cielo di una tibia umana nello scenario desolato di una spiaggia sabbiosa, mentre dal mare sbuca sbilenca la testa aureolata della Statua della Libertà, ormai simbolo della sconfitta dell’intera umanità? Di certo apparteniamo – tutti noi esseri umani viventi, almeno nella parte europea del mondo – a generazioni che hanno conosciuto, attraverso la costruzione di una trama complessa di strutture normative, metabolizzando persino la modalità «guerra fredda», una sola possibilità di risolvere i problemi tra gli Stati, e questa non era la guerra. Ci sentiamo per questo spaesati, alle prese con un impatto a cui non sappiamo rispondere. Perché per 80 anni avevamo seguito la traccia di Immanuel Kant, la via della pace perpetua. Che resta, però, l’unica traccia possibile, se si vuole evitare l’epilogo dell’umanoide con in mano la tibia.
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