L’Italia ha una questione giovanile. Ero indeciso se chiudere la frase con un punto di domanda, ma ho capito che quel punto è ormai svanito e possiamo darla come certezza. E non lo dico io, ma lo dice chi è autorevole: lo certifica, parlando di “grave questione giovanile”, l’ultimo Rapporto italiani nel mondo della Fondazione Migrantes, presentato pochi giorni fa. Il rapporto, molto ampio e interessante, dà una panoramica e approfondisce diversi aspetti della mobilità italiana. Con dati preoccupanti ma non sorprendenti per la fascia più giovane del nostro Paese.

Le considerazioni del Rapporto si spingono molto più in là e confermano quanto già negli scorsi articoli sul Riformista ho scritto: tra stati di deprivazione, percentuale di NEET tra le più alte in Europa, salari più bassi dei coetanei europei, gender gap e divario crescente tra Nord e Sud Italia, i nostri giovani non se la passano benissimo. Aumenta l’abbandono scolastico, aumenta la permanenza nella casa di origine (e quindi la dipendenza dal reddito dei genitori, e quindi la difficoltà a cercare autonomia): è evidente che siamo di fronte a una questione giovanile. Questione che tocca tanti aspetti: come scritto nel Rapporto stesso, “una questione per la quale tanto si parla, ma per la quale ancora troppo poco si fa”. Qual è una diretta conseguenza di questo quadro? I giovani, stanchi, esausti, in difficoltà, costretti e deprivati, cercano soluzioni, serenità, autonomia, lavoro, studi e stabilità non semplicemente “fuori” da casa, ma “lontano” da casa. Ovvero, lontano dall’Italia.

I giovani persi

Nel 2022 quasi una partenza su due per espatrio è stata compiuta da un giovane, una percentuale più che raddoppiata negli ultimi 8 anni. Il fenomeno è molto chiaro e può essere così riassunto: il Paese si sta popolando “fuori” e si sta “svuotando” dentro. Di per sé potrebbe non essere un problema: al netto di considerazioni sulle esperienze all’estero, che vedremo dopo, è un fenomeno naturale che parte della popolazione esca e parte rientri. È sempre avvenuto e porta a impatti positivi sulla cultura, la tecnologia, il progresso di un Paese. Negli ultimi anni i rimpatri sono aumentati vertiginosamente, spinti soprattutto da iniziative del legislatore volte a favorire il rientro: ma il numero di italiani che fanno ritorno non è abbastanza da compensare il numero di quelli che fanno la strada inversa; e, soprattutto, la fascia di età di quelli che rientrano è più matura se non anziana. Quindi, in breve, perdiamo tanti giovani e più giovani di quelli che facciamo rientrare. Ci tengo a sottolineare un aspetto. Non sto prendendo di mira chi, giovane o meno, decide di trasferirsi. Anzi, credo che un ragazzo che abbia la possibilità di fare un’esperienza in altri Paesi sia un ragazzo fortunato: venire a contatto con culture differenti, staccarsi dal nido di casa, conoscere luoghi e istituzioni diverse, è un qualcosa che arricchisce le persone più di tanti corsi universitari. Tra programmi Erasmus, lavori estivi e anni accademici all’estero le opportunità sono tante e sempre occasioni di crescita. Il problema è sotto due profili. Il primo è quando l’esperienza all’estero diventa espatrio. Un Paese come il nostro, che già sta affrontando una crisi della natalità senza precedenti, non può permettersi di perdere il proprio futuro in maniera costante, strutturale e continua.

La scelta di andare all’estero

Quando il numero dei ragazzi che se ne vanno aumenta, quando la scelta di andare all’estero diventa sempre più permanente e quando il numero di quelli che rientra diminuisce allora c’è un problema: che oggi magari non ha effetti tangibili, ma che domani possono essere tanti. Sull’economia, sul progresso, sul futuro del Paese. Il secondo profilo è, una volta capita la portata del problema, cosa si sta facendo per risolverlo. La prima versione della legge Finanziaria, infatti, conteneva misure che andavano nella direzione opposta: ovvero, rendere il rientro ancora meno attrattivo. Le misure annunciate hanno generato diverse polemiche, con tanto di italiani che già avevano progettato il rimpatrio a fare dietrofront: e, anche grazie a loro, le misure probabilmente saranno riviste. Ma ancora manca quel passo in più: quali sono le politiche di un Paese che sta perdendo tanti giovani e che ne attrae sempre meno? Quali sono le politiche non solo fiscali, ma anche sociali e lavorative per tornare ad essere il Paese di destinazione di talenti e cervelli che trovano il loro posto all’estero? Quali sono le politiche per evitare che l’esperienza all’estero di un giovane non diventi un’esperienza di crescita ma il suo futuro? Quali sono le politiche che rendono l’Italia un Paese dove ogni ragazzo vuole stare e scrivere le prossime pagine di storia? L’Italia ha una questione giovanile, ma anche, e soprattutto, una questione sul proprio futuro.