L'opinione
La settimana del giudizio: il lento declino dell’Europa, Meloni tiene botta e la reputazione di Israele è ai minimi storici
Parafrasando il celebre motto di Mao Zedong, grande è la confusione sotto il cielo e, quindi, la situazione è pessima. L’America Trump si avvia a diventare, senza significative opposizioni interne, una democrazia illiberale (o “totalitaria”, come altri preferiscono chiamarla). Isolazionismo e dazi hanno sancito il rovesciamento del rapporto di forza tra Occidente e resto del mondo, quelle autocrazie che hanno celebrato a Pechino il nuovo ordine internazionale sinocentrico. Un quadro in cui l’Europa rischia di fare la figura del vaso di coccio tra due vasi di ferro. Nonostante le varie “coalizioni dei volenterosi”, infatti, continua a essere divisa, malata di burocratismo, paralizzata nelle sue decisioni strategiche dalla regola dell’unanimità. Senza un cambiamento radicale, e senza la consapevolezza dei compiti storici che può e deve avere nello scenario globale, è destinata a un lento ma inesorabile declino. Perché è ancora un gigante economico ma resta un nano politico e militare, come ha ricordato Mario Draghi.
Si tratta di un contesto ideale per le continue provocazioni dell’aviazione di Putin, volte non solo a saggiare la capacità di reazione militare della Nato, ma a innervosire governi e opinioni pubbliche di Polonia, paesi nordici e della cintura baltica. Sono venti di guerra? Diciamo che non sono certamente messaggi di pace. Forse l’unico leader europeo che lo ha capito fino in fondo è il cancelliere tedesco Merz, il quale ha proposto l’esproprio degli asset di Mosca depositati nelle banche dell’Ue per finanziare la resistenza Ucraina. Altri leader, con la lodevole e intelligente eccezione di Giorgia Meloni, erano affaccendati soprattutto nel riconoscimento del fantomatico Stato di Palestina. Con Keir Starmer che così ha aperto un’autostrada a Nigel Farage. E con Macron più preoccupato del voto dell’elettorato islamico francese che del grazioso regalo fatto ad Hamas. E suoi vertici lo hanno immediatamente ringraziato.
Scendendo per li rami, tutto si può dire della nostra presidente del Consiglio tranne che non abbia tenuto botta sia sul conflitto israelo-palestinese che su quello russo-ucraino. È vero, ha dovuto dire che il governo di Gerusalemme ha superato ogni limite. E forse lo ha superato. Ma nulla a che spartire con la canea demagogica scatenata da quanti hanno gettato nello sciacquone della loro memoria il 7 ottobre, non hanno mai speso una parola sincera per la sorte degli ostaggi, hanno vilipeso l’unica democrazia del Medio Oriente, non hanno mai condannato con determinazione il “socialismo degli imbecilli”, come nel 1893 definì (forse) August Bebel l’antisemitismo del movimento operaio di allora.
Tutto bene, quindi? No. La reputazione di Israele è ai minimi storici. L’occupazione di Gaza City sta creando una enclave di disperati a sud della Striscia, una bomba sociale che mal si concilia con il nuovo Eldorado immaginato da alcuni ministri di Netanyahu. E ancora non è chiaro il destino della Cisgiordania. Un obiettivo però è chiaro: Hamas va disarmato e esiliato da quei territori. Si può discutere sui mezzi, ma non sul fine. Purtroppo, esso sembra scomparso dagli orizzonti di pensiero della sinistra italiana.
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