Una casta nella casta
La sfida per una giustizia giusta
La stagione a cui ci affacciamo costituisce, per l’amministrazione della Giustizia e per l’idea stessa di Giustizia, uno snodo di grande importanza. La mentalità giustizialista che ha intriso l’opinione pubblica, a partire dai primi anni ‘90 del secolo passato, pare ancora sopravvivere, anche se con meno furia, nell’istinto di una parte rilevante dei nostri concittadini, ma la sua sopravvivenza si mostra ogni giorno più stentata, più irrazionale, più rituale e abituale; in una parola: più debole.
Il sintomo del suo avariarsi è nel progressivo, inarrestabile, declino dell’indice di fiducia popolare nella magistratura, passato dalle percentuali bulgare degli anni di “mani pulite” a un valore imbarazzante: solo il 39% dei cittadini dichiara di conservare fiducia nei magistrati. La percezione che si ha oggi è che la stagione giustizialista abbia generato dei vertici, nella magistratura, altrettanto autoreferenziali e sordi alla società contemporanea di quelli che occupavano le poltrone degli incarichi direttivi giudiziari, e dell’ANM, nel dopoguerra post-fascista.
Se l’ultimo trentennio ha fatto della magistratura una casta, i principali artifici del sistema si sono, in essa, costituiti come una casta nella casta. Il complesso, normativo e organizzativo, che essi hanno saputo strutturare, garantisce loro il monopolio delle caselle nevralgiche del sistema giudiziario, trasformando l’ordinamento in una specie di fattoria degli animali, in cui le aspettative di ciascuno degli appartenenti alla comunità dipende dalla sua conformità alla dottrina e alla pratica imposti dalla supercasta. Oggi, si realizzano le condizioni per cominciare a smantellare quella sovrastruttura normativa e organizzativa che ha garantito alla supercasta di gestire in modo opaco la distribuzione degli incarichi, di assicurare ai suoi sodali l’impunità per le distorsioni del fare giustizia, delle quali la gente ha una percezione sempre maggiore, di esercitare un ferreo potere di condizionamento di ogni altra autorità.
Per quanto timide, e deboli, le iniziative politiche in campo, dai referendum alle riforme promosse dalla Ministra della Giustizia, sono lì a dimostrare che, da oggi, da ieri, la condotta della magistratura può essere criticata, la sua predominanza messa in discussione. La sua presunzione di infallibilità, disconosciuta e smentita. La sua intoccabilità negata. Chi vuole cimentarsi in questo compito, essenziale per la libertà e per i diritti di tutte le componenti della società, dovrà sfuggire alla tentazione di condurre questa contesa contro la supercasta come se fosse una contesa con tutta la magistratura, perché anche oggi, come settant’anni fa, alla fine di una stagione di forte esercizio di un potere pervasivo sulla società, nella stessa comunità dei magistrati si può sviluppare una nuova consapevolezza, un rifiuto dell’autoreferenzialità, un distacco dalla superbia. Allora, chi ha della politica un’idea alta, deve cercare all’interno della comunità dei magistrati coloro che hanno della Giustizia un’idea altrettanto alta. E avviarsi, con loro, sulla strada del domani.
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