L’antipolitica perde colpi, uno su tre ha detto ‘Vaffa’ a quelli del ‘Vaffa’

I giorni passano, il virus fa il suo losco mestiere e il governo assume stancamente poteri più illiberali, decidendo anche quali notizie possono o non possono essere date alla stampa. Così, l’amarezza irata in cui ci troviamo offusca la memoria e non pensiamo più al fatto che è nato dal referendum un partito che alla sua prima uscita prende il 30 per cento. Il trenta per cento di coloro che sono andati appositamente a votare per dire No, un no che non ha rappresentanza nel Parlamento che è pari a un terzo degli elettori. Il trenta per cento. Un botto. E quali conseguenze? Il guaglione prodigio Luigi Di Maio è salito in feluca sulle terrazze della Farnesina gridando che lui aveva vinto col settanta per cento.

Certo, che ha vinto: sono trent’anni che annunciano di voler trattare il Parlamento come il Reichstag bruciato dai nazisti, ma con un sapore di tonno. Il loro programma è amputare una Camera, liquidare i rappresentanti, umiliare le pensioni dei vecchi che hanno servito la democrazia e che stanno morendo in miseria. Abbiamo perso la memoria perché è stato un lungo cancro che ha devastato la nostra già fragile democrazia. Ma sono decenni che questa gente circonda il Parlamento con i girotondi, minaccia l’assedio dei forconi in competizione con Mussolini che voleva fare dell’aula sorda e grigia il bivacco per i suoi manipoli. E adesso il fatto nuovo: il trenta per cento degli italiani decide di uscire di casa per andare a votare no al partito del vaffanculismo e a tutti gli opportunisti legati ai loro strapuntini. Peccato che Berlusconi non abbia colto il momento di capeggiare quel no, in quanto leader liberale, preferendo non dispiacere a Salvini e Meloni. Forza Italia si sta riducendo a un partitino privo di copyright, il punto è che il trenta per cento degli elettori dice No a tutti i partiti rappresentati in Parlamento e li manda a quel paese.

Peccato, perché Berlusconi e Renzi, rendendosi conto di quel che accadeva, hanno concesso la libertà di coscienza, facendo capire che si doveva votare no, ma facendo finta di non esserne certi. Che peccato, perché quel trenta per cento certifica l’esistenza in vita di un’Italia che non si lascia intortare dai telegiornali in cui Giuseppe Conte appare sempre e comunque anche durante le previsioni del tempo per non dire assolutamente nulla, ma un nulla talmente assoluto da non meritare neppure una parodia televisiva. Però la permanenza sullo schermo ha un effetto elettrodomestico sull’elettroencefalogramma piatto di un popolo spaventato e assuefatto alla infima qualità della politica espressa dal governo e dai suoi componenti. Circolano sui social delle antologie di quello che hanno detto Zingaretti e Di Maio, due a caso, l’uno dell’altro nei mesi scorsi. E ridendo e scherzando pochi ricordano che la democrazia dovrebbe, per quanto creativa e originale, rispondere ad alcuni criteri fondamentali. Primo: il governo dovrebbe somigliare al voto espresso dagli elettori. Questo principio elementare è stato archiviato e sostituito da un altro che si enuncia così: scopo della democrazia è non far vincere l’avversario.

Infatti, è stato mentalmente archiviato il fatto che questo Parlamento, senza fare una piega e neanche un plissé, ha sfornato due opposte maggioranze e altrettanti opposti governi, il primo di destra e il secondo di sinistra, sotto la guida dello stesso sconosciuto che un giorno l’amico di un altro amico ha portato al Quirinale e lo ha presentato a Mattarella che aveva – lo ricordiamo bene – gli occhi fuori dalle orbite. Avete notizia di un evento sia pur vagamente simile nella storia di tutte le democrazie del mondo? Quello che è accaduto – e ancora sta accadendo con il processo a Salvini che si sta celebrando a Catania l’abbiamo appena visto. Questo giornale è un diario aggiornato e storico dell’uso politico del processo per fare politica sottraendola al Parlamento, operazione che purtroppo è quasi perfettamente riuscita. Quasi, perché il giorno del referendum, il trenta per cento di coloro che sono andati a votare, hanno scritto No sulla scheda. Ci sono andati malgrado il Covid e malgrado la pioggia o quel che era. È stata una delle più straordinarie imprese democratiche del vero popolo, dai tempi del voto sulla Scala mobile ai tempi di Craxi quando gli elettori dissero di no alla demagogia, peraltro costosissima dei sindacati.

È cresciuta una generazione da quando tutto è cominciato, con l’operazione Clean Hands, in italiano “Mani pulite” (di cui io stesso sono stato un cronista entusiasta) che non provò nulla e che si concluse con la messa a morte della prima Repubblica che doveva essere sostituita con un colpo di mano da una nuova classe dirigente già pronta in panchina. Gli italiani – noi italiani – si sono bevuti tutto: le monetine a Craxi, la trattativa Stato mafia, le persecuzioni individuali, il sadismo e la retorica del buonismo al livello più infimo. Nella mia lunga vita di cronista mi è capitato anche di inventare alcune espressioni diventate di uso corrente fra cui il “benaltrismo”. Benaltrismo vuol dire che quando metti il dito nell’occhio del problema, i responsabili saltano su gridando che “ben altri” sono i problemi di cui dovremmo occuparci. Tutta la politica degli ultimi anni è stato un benaltrismo continuo che ha portato alla morte della dignità del Parlamento: in inglese si dice “Charachter assassination”, l’uccisione della personalità.

La politica politicante, quella che Nenni tornato dalla Francia chiamava “la politique d’abord” è stata sputtanata, il principio primo e sacro del primato e della sacralità dell’individuo singolo, è stata uccisa dai cingoli dei loro carri armati e – come ha già notato Sansonetti su questo giornale – è rimasta attiva nel Paese una corrente stalinista. In queste settimane sto ricostruendo con ordine ed evidenza il grande porcaio che fu consumato nel biennio in cui Hitler e Stalin iniziarono la Seconda guerra mondiale insieme e dalla stessa parte, fino al momento in cui il primo pugnalò alla schiena il secondo che rimase paralizzato dallo stupore. Quel che successe in quei due anni – e che è pubblico e pubblicato, basta cercarlo – è stato graziosamente velato: mentre i nazisti marciavano sotto l’arco di Trionfo a Parigi fra due ali di folla piangente, i comunisti francesi, seguendo le direttive ed essendo per questo stati messi al bando dalla loro patria, scrivevano sui muri: «Benvenuti, camerati tedeschi che siete venuti a spazzare via insieme al proletariato di tutto il mondo le forze imperialiste e borghesi..». Ovviamente molti staranno già dicendo: e adesso tutto questo che c’entra?

C’entra, perché da allora è stato necessario scavare montagne di vergogna e di bugie per fabbricare delle false versioni della storia, dei delitti, delle vicende della mafia e della politica, del terrorismo interno ed esterno. I segnali autonomi e veramente democratici che vengono dai cittadini che non si sono lasciati accecare sono rari e importanti ed è questo il motivo per cui mi sono deciso a scrivere queste righe assolutamente banali, soltanto per ricordarci di ricordare. Abbiamo vinto, questo deve essere ricordato con chiarezza. È stata soltanto la prima vittoria, ma gigantesca perché quei voti sono reali, di vere persone, donne e uomini e quei voti sono noi, e da lì si ricomincia.