Il fatto che lo sport troverà casa nella nostra Costituzione è un enorme passo in avanti. Un’enunciazione di principio forte, un richiamo che la Carta porterà con sé che andrà a gettare il seme di quella cultura sportiva che in Italia ancora manca.
Daniela Sbrollini, senatrice di Italia Viva da oltre un decennio impegnata nella promozione dello sport, ne ha parlato a Roma nell’ambito dello Sport Leaders Forum, un incontro che aveva come obiettivo l’apertura di un luogo di condivisione tra leghe, federazioni, enti di promozione sportiva e club per definire modelli virtuosi nella gestione della cosiddetta Industry sportiva.

Un concetto, quest’ultimo, che porta con sé la necessità di un piano comune di sviluppo, con società, enti locali, agenzie per lo sport e investitori in senso lato uniti nella progettazione delle linee all’interno delle quali lo sport professionistico e tutto ciò che, invece, gli ruota attorno possano trovare una sintesi vera e non essere potenzialmente antagonisti. “Se mettiamo insieme tutti questi tasselli – spiega Sbrollini – possiamo arrivare ad avere un mondo dello sport che si unisce. Perché non può succedere che venga in Parlamento il singolo rappresentante della Lega o della Federazione a parlare solo dei propri interessi, legittimi per carità. Le richieste devono essere unitarie”.
Senza dimenticare l’ambito sanitario, con abbonamenti a palestre o piscine che – se prescritti – potrebbero presto essere detratti al pari dei farmaci: “C’è un mio ddl che prevede di riconoscere l’attività fisica come farmaco naturale da prescrivere in ricetta medica”.

Il miliardo e mezzo assegnato alla riqualificazione degli impianti dal Pnnr, di contro, è poco, troppo poco considerando che – chiusa questa finestra – sarà difficile avere ulteriori occasioni per fare interventi strutturali.

“Chi si assume la responsabilità di realizzare i progetti? Noi abbiamo tanti protagonisti, abbiamo il Coni, poi ci siamo inventati Sport e salute, che era diventato da parte di alcuni un modo per fare la guerra al presidente Malagò, mentre è un ente che si deve occupare di altro. Il padre di questa riforma dello sport si chiama Giancarlo Giorgetti, quando era sottosegretario alla presidenza. Io ero relatrice di minoranza, e non ero d’accordo con l’impianto di quella riforma. Poi ci sono stati miglioramenti, correttivi, ma non ci siamo ancora, perché non c’è questa prima battaglia vinta tra risorse per il professionismo e per il dilettantismo e il riconoscimento del lavoro sportivo”.

Da una parte, che il Governo abbia voluto il ministero dello Sport è un segnale d’attenzione; dall’altra la nomina di Andrea Abodi – un manager in un ruolo politico – porta in sé la necessità di lavorare maggiormente sotto il profilo legislativo: “Sto cercando di dare tutto il supporto che possiamo ad Abodi, perché ha le idee chiare su quello che c’è da fare“, prosegue la senatrice.

Sport sì, ma anche entertainment, con impianti aperti sette giorni su sette e un’alleanza tra mondo sportivo, industria dello sport e istituzioni a stabilire come investire nel modo giusto le risorse e, ancor più, che valore assegnare a un settore altrimenti costretto a fare anticamera al Mef o alla Ragioneria dello stato. Il tutto, snellendo le procedure ed eliminando burocrazie e veti che finiscono per annichilire gli sforzi di chi ancora vuole investire.

“C’è il problema del coinvolgimento delle società sportive nella realizzazione degli stadi: noi vogliamo arrivare a progetti che portino benefici al territorio, alla costruzione di stadi e non solo alla riqualificazione. Se un imprenditore deve investire, deve essere sicuro di avere un ritorno. Servono un credito d’imposta strutturale, una revisione della legge Melandri, perché dopo 20 anni sui diritti televisivi è cambiato tutto. Abbiamo bisogno anche di una riforma del calcio. Ci dobbiamo mettere assieme e individuare le priorità. L’industria dello sport deve essere protagonista e unita”, conclude Sbrollini.