Quando eravamo ragazzi, e un po’ estremisti, il 25 aprile gridavamo così: “La Resistenza è rossa / non è democristiana / viva, viva / La guerra partigiana”. Gridavamo questo slogan per contrapporci al Pci, che invece voleva fare del 25 aprile una festa di unità nazionale. E invitava sul palco Taviani e Zaccagnini. Soprattutto Taviani non sopportavamo, perché era, o era stato, ministro degli Interni con la mano un po’ dura. Sto parlando di quegli anni lì, roventi, intorno al 1968. Avevamo ragione piena e torto marcio, credo. Ragione, perché, si dica quel che si vuole, ma la Resistenza è stato fondamentalmente l’episodio più rosso della storia nazionale.
Guidata dai comunisti, in montagna e nelle città. Con tutti gli eroismi e la generosità e le malvagità possibili. Ed è la ragione per la quale in Italia, unico paese occidentale, dopo la guerra si affermò un partito comunista straordinariamente forte e che raccoglieva i voti di circa un terzo della popolazione, e le simpatie, più o meno, della metà.
Torto marcio perché il 25 aprile è un’altra cosa. È la liberazione dal fascismo e dal nazismo, e l’inizio della storia dell’Italia democratica. E francamente sarebbe da cretini immaginare che Hitler e Mussolini furono sconfitti da Longo e Amendola. Furono sconfitti dagli eserciti alleati. Dagli inglesi e dagli americani. Mentre la Germania fu liberata dai russi. E il 25 aprile, in Italia, iniziò una storia democratica eccezionale, nella quale i comunisti ebbero un grande spazio, proprio perché se lo erano guadagnato con le armi, ma i democristiani, e gli altri partiti democratici più piccoli, giocarono un ruolo essenziale. Nacque dall’incontro tra queste forze la Costituzione socialmente avanzatissima, ma anche liberale e garantista, della quale ancora disponiamo e che poco utilizziamo. E quindi era assurdo voler escludere i democristiani e i liberali da una festa che era anche la loro.
In quegli anni politicizzatissimi, il 25 aprile era comunque, essenzialmente una festa antifascista. E l’antifascismo era un “fiume politico” molto stravagante, che teneva insieme liberalità e autoritarismo, russi e americani, comunisti e anticomunisti. Tutti a pari diritto. Perciò sono assurde, oggi, le contestazioni che vengono fatte nei cortei. Contro il Pd, o addirittura – con sfumature antisemite – contro la brigata ebraica. Assurde, contraddittorie e un po’ folcloristiche. Ho sentito i simpatici giovani di Milano che chiedevano al Pd di uscire dal corteo (ma tra tutti quanti, il Pd è il partito più coerentemente erede della Resistenza) perché guerrafondaio. E poi gli stessi giovani gridare che il 25 aprile non è una ricorrenza ma è il giorno della Resistenza. Beh, voi capirete che se uno esalta la Resistenza armata e poi condanna l’uso delle armi per resistere all’invasore, c’è qualcosa che non va. Così come ho trovato curioso imprevisto, quest’anno l’entusiasmo per la lotta partigiana espresso da settori molto moderati e anticomunisti dello schieramento politico. Non li ricordavo, questi settori, negli anni scorsi, in prima linea e col fazzoletto rosso al collo (eh, sì: i partigiani, quasi tutti, portavano il fazzoletto rosso al collo…). Cosa è successo?
C’è una certa inversione di ruoli. I gruppi moderati, che in questi giorni, dalla destra al centrosinistra, si sono spostati su posizioni abbastanza militariste, e che non ammettono dissensi – guidati, come succede sempre in questi momenti di sbandamento della politica, non da un partito ma da un giornale: Il Corriere della Sera – son diventati tifosi accesi di tutta la vecchia retorica resistenziale. E questa retorica è stata gettata nel piatto della lotta dura al pacifismo, spesso con toni abbastanza sbracati, e in una posizione di contrapposizione frontale con la Chiesa cattolica. Partigiani contro pacifisti. Possibile? E tutto questo non pone un problema anche ai pacifisti? Quale problema. Provo a dirlo in modo netto e provocatorio: l’antifascismo è ancora un valore?
Io credo che lo sia se inteso come lotta all’autoritarismo, alle idee reazionarie nel campo del costume, al forcaiolismo, alla xenofobia. Punto. E che non abbia nessun senso se riferito al passato regime di Mussolini. L’antifascismo, quando diventa pura retorica resistenziale, diventa un macigno che serve solo ai conservatori. Toglie alla sinistra ogni problema di linea politica, identificandola con un tabù decrepito e inattuale. La rinchiude in una logica difensivistica, tagliando la strada alle lotte sociali. Sostituisce la ricerca della politica e del conflitto. Sostituisce l’avversario con l’immagine di piazzale Loreto. Un disastro politico e morale. È un vecchio discorso. Lo riprenderemo. Credo che la retorica, o la paura antifascista, già abbia prodotto tanti danni in Italia. Spinse, negli anni 70, il Pci a ripiegare sulla democrazia cristiana. E pezzi di gioventù a ripiegare sulla lotta armata. Gli uni e gli altri con l’obiettivo di evitare un pericolo: il golpe imminente. Pericolo che non esisteva. Ne riparleremo.
