L’elezione di La Russa ha salvato la maggioranza dall’implosione: franchi tiratori furbetti e maldestri

Fontana e La Russa: riesce alla destra radicale l’occupazione del cuore dello Stato con una ritrovata alleanza tra il trono e l’altare. Il vaffa day di Berlusconi contro il più nero dei capi di Fratelli d’Italia è sfumato. Una parte dell’opposizione ha preso con “serietà” il suo posto e così le cariche istituzionali vanno agli esponenti più estremisti e con valori fortemente identitari. Dopo aver avvertito “la vertigine dell’anniversario della marcia su Roma”, è toccato proprio alla senatrice a vita Segre dichiarare l’avvenuta elezione di Ignazio Benito Maria La Russa allo scranno più alto di Palazzo Madama. Non è però racchiuso in questo passaggio, pur così simbolico, il significato politico di quanto accaduto al Senato.

C’è stata una sorprendente operazione politica in stile neorinascimentale nella decisione che ha coinvolto almeno venti senatori. Non si tratta di singoli sostegni offerti casualmente e indipendenti l’uno dall’altro. È scattata un’operazione politica pianificata a freddo e concordata in tempo con la destra per disarmare i seguaci di Berlusconi. L’intenzione degli azzurri era quella di far pesare il loro numero come decisivo negli equilibri della maggioranza. E invece, almeno in apparenza, la conta ha mostrato l’irrilevanza del partito del Cavaliere. Nessuna centralità sistemica può rivendicare e all’aria è finito sul nascere ogni disegno di esibire un temibile potere di ricatto.

La mossa in stile Ghino di Tacco escogitata da Berlusconi ha incassato una sberla tattica destinata forse a lasciare il segno nella tenuta stessa della sua rappresentanza parlamentare. E tuttavia la caduta del neosenatore a seguito dell’imboscata nata nell’arcipelago centrista non è di quelle rovinose, perché comunque l’agguato dei venti non è in grado di fornire un vero ricambio nella composizione della maggioranza. Conservando la fedeltà dei suoi eletti, Forza Italia rimane ancora decisiva per la funzionalità della coalizione. Il soccorso centrista non può emergere in aula in maniera trasparente, e quindi i sostenitori trasversali del fantomatico partito draghiano non possono diventare alternativi alle forze del Cavaliere. Chi ha votato sottobanco per La Russa non intendeva nell’immediato surrogare Forza Italia e proporsi come un nuovo partner di governo.

I sospetti che Berlusconi ha subito indirizzato verso Calenda e Renzi, per quanto incardinati su indicatori plausibili, non coprono per le leggi della matematica intero i numeri di coloro che hanno partecipato alla congiura e garantito il pieno successo dell’impresa. Da dove provengono allora gli apporti che si sono aggiunti all’area centrista? Ai rappresentanti delle autonomie e di gruppi minori, a qualche senatore a vita possono anche essersi affiancati i voti di chi tra i grillini ritiene l’antifascismo un canone valoriale senza dubbio di minore richiamo rispetto all’antiberlusconismo mai appassito. Il Nazareno non è stato protagonista attivo della vicenda, avrebbe avuto tutto da guadagnare a giocare di sponda con l’ammutinato Berlusconi per incassare qualche vantaggio tattico.

Ha però mostrato una scarsa dimestichezza con le pratiche di adescamento che avvengono nell’ombra e possono favorire i calcoli degli attori più spregiudicati. In condizioni che vedono in aula la difficile convivenza di tre forze di opposizione tra loro profondamente divise, con disegni competitivi, con rivalità e giochi tattici esasperati, la soluzione più efficace sarebbe stata quella di non partecipare al voto. Con la risposta alla chiamata il Pd ha invece depotenziato il significato politico del gesto berlusconiano e ha involontariamente offerto alle altre forze di opposizione (o anche a micro-settori interni accusati da Renzi di aver partecipato al soccorso) la possibilità di sterilizzare l’affondo dei forzisti indispettiti dalla inopinata ostilità della “pesciarola” verso “l’infermiera”.

Il partito di Meloni si inganna se interpreta il soccorso ricevuto dal terzo polo ed altri, che hanno abbattuto cinicamente le ambizioni negoziali di Berlusconi, come un segnale di disgelo per cui d’ora in poi potrà contare sull’apporto di spezzoni dell’opposizione in caso di estrema necessità. Il disegno dei segreti cospiratori non era rivolto contro Berlusconi in quanto tale (sulla conquista delle sue spoglie avranno modo di tornare con altri affondi) e a favore di Meloni baciata in nome della governabilità. La manovra, piuttosto, è stata partorita da chi sfida la stabilità con l’intenzione di logorare l’esecutivo, di evidenziare le crepe della maggioranza e di rimarcare anche la scarsa capacità di leadership della patriota accasata a Palazzo Chigi.

Il metapartito di Draghi, una entità del tutto ipotetica, parrebbe la componente principale del gruppo dei venti uscito allo scoperto grazie alla protezione del voto segreto. Non avendo la consistenza quantitativa per poter variare l’alleanza di governo, l’arcipelago draghiano punta a condurre una estenuante guerra di movimento. Sulle elezioni di cariche che richiedono la maggioranza qualificata, sulle designazioni per gli organismi di garanzia c’è una possibilità di negoziazione con la maggioranza per poi riprendere il gesto dimostrativo volto a far traballare ogni equilibrio apparente.

Perché sia una guerra di movimento, non occorre che i belligeranti seguano un percorso coerente sul piano programmatico. È possibile condurre una guerriglia senza badare a seguire una logicità di indirizzo, ma avendo lo scopo fisso di sfarinare, rompere, insomma creare il caos parlamentare. Anche i gesti di soccorso al governo possono contribuire, in questo senso, non certo a stabilizzare il quadro parlamentare, ma a spezzare equilibri, coesione, fedeltà. Il rischio di una guerra di movimento è quello di venire canzonati dall’avversario proprio mentre si coltiva l’illusione di dirigere con scaltrezza le operazioni di smottamento della maggioranza. È il problema dell’astuzia in politica di cui si interessò anche Gramsci, che recuperava una maschera: “Stenterello è molto più furbo di Machiavelli, vuol far sapere a tutti di essere molto furbo e che a lui nessuno gliela fa, neanche se stesso. Egli aderisce all’iniziativa, perché è furbo, ma è ancor più furbo perché sa di esserlo e vuol farlo sapere a tutti. La sua maggiore astuzia consiste nel fatto che è stata preparata nella persuasione che tutti siano degli imbecilli e si lasceranno intrappolare”.

Stenterello prepara una trappola dopo l’altra, ritiene di essere una volpe così astuta che nessuno riesce mai a catturare con i suoi lacci. Le sue iniziative furbe poggiano sul presupposto, di certo assai ingannevole, che a lui nessuno è in grado di farla, mentre l’avversario si rivela nei calcoli semplicemente come uno sprovveduto pronto a cadere nelle più ardite provocazioni. Come Stenterello, anche la volpe antiberlusconiana ha intrappolato se stessa nell’illusione di aver concepito la mossa perfetta per sparigliare le carte e passare all’incasso. All’apparenza di falle aperte con destrezza nella cittadella nemica subentreranno ben presto delle celeri ricostruzioni del fronte avversario, che può riassorbire le divisioni sorte nella maggioranza perché ha pur sempre in dote il monopolio del governo cui per tutti è arduo rinunciare senza alternative apprezzabili.

Per spezzare questo robusto collante di potere non basta il semplice gioco delle sponde, degli agguati, delle fughe, delle provocazioni. Al gioco tattico orchestrato dal furbo Stenterello, che per un eccessivo culto dell’astuzia cade vittima delle sue stesse macchinazioni (regalando senza contropartite adeguate la seconda carica dello Stato ad una figura divisiva che aveva mandato in fumo la stessa maggioranza), il realista politico nel senso di Machiavelli preferisce seguire un progetto, organizzare una iniziativa politica aperta. Ad una destra che si presenta con un evidente profilo reazionario di massa, che occupa le istituzioni con una figura nostalgica delle cose e i busti del secolo scorso e una personalità clerical-conservatrice che opera nel segno del putinismo più misticheggiante, non si risponde con la pura e semplice trovata furbesca che in maniera maldestra cerca di ferire la maggioranza salvandola dalla fulminea implosione.