Per oltre trent’anni il Leoncavallo è stato il simbolo dell’occupazione abusiva a Milano, un luogo che ha vissuto in una zona d’ombra, tollerato e in certi casi persino coccolato da quella parte politica che si definisce “progressista”, ma che ha preferito chiudere gli occhi di fronte all’illegalità. Oggi finalmente lo sgombero mette fine a un’anomalia durata troppo a lungo, un’anomalia che ha calpestato il principio basilare del nostro ordinamento: la sacralità della proprietà privata.

Il paradosso è evidente: mentre famiglie e imprenditori rispettano regole, pagano affitti, tasse e bollette, per decenni il Leoncavallo è rimasto occupato senza che nessuno spiegasse chiaramente chi coprisse le spese per energia, acqua e manutenzioni. La risposta è semplice e amara: tutto a carico della collettività, tutto sulle spalle di chi, magari con sacrifici, ha sempre onorato le proprie obbligazioni. Di fronte a questo scenario, suonano fuori luogo le parole di chi oggi, come Bertinotti, la Schlein e i 5 Stelle, si straccia le vesti per la fine di una stagione.

Si dimentica che legalità e giustizia sociale non possono convivere con aree sottratte al diritto, con immobili privati trasformati in fortini ideologici. L’Italia non può più permettersi zone franche dove la legge si sospende in nome di un presunto valore culturale o politico. Ha ragione Giorgia Meloni quando afferma che non esistono cittadini di serie A e di serie B: le regole valgono per tutti, senza eccezioni. Non si può predicare uguaglianza e poi difendere chi, per trent’anni, ha ignorato sentenze, sfratti e ordinanze. La legalità non è di destra né di sinistra, è il presupposto per una democrazia sana e credibile.

Lo sgombero del Leoncavallo non è solo un atto amministrativo, è un segnale chiaro: in Italia la proprietà privata resta un diritto inviolabile e chi la occupa senza titolo non può sperare in complicità politiche o silenzi istituzionali. È finito il tempo dei privilegi, dei centri sociali trasformati in enclave sottratte al controllo dello Stato. Per troppi anni si è parlato di “spazi di aggregazione” senza avere il coraggio di dire la verità: erano occupazioni abusive, tollerate e in certi casi perfino celebrate. Oggi finalmente si chiude un capitolo vergognoso e se ne apre un altro, fatto di regole uguali per tutti, di rispetto per la legge e per i cittadini onesti. L’Italia ha bisogno di legalità, di ordine e di esempi concreti. Perché senza legalità non esiste né libertà né giustizia sociale.

Maurizio Pizzuto

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