Libia, l’allarme di Medici senza frontiere: “Migranti allo stremo, vanno evacuati”

«La pandemia, o piuttosto la risposta ad essa, ha peggiorato le difficoltà quotidiane della popolazione e aggravato la condizione dei migranti bloccati in Libia». È quanto scrive il capomissione di Medici senza frontiere nel Paese nordafricano, Sacha Petiot, in un intervento sul sito di Msf. «Per circa 1.500 persone attualmente presenti nei centri di detenzione gestiti dal Dipartimento per combattere l’immigrazione illegale – prosegue – la disperazione sta raggiungendo nuovamente il picco. L’arresto dei voli umanitari dell’Unhcr e dei servizi di rimpatrio dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, sulla scia delle restrizioni ai viaggi legate al Covid-19, sta distruggendo la loro unica speranza di trovare una via d’uscita da un ciclo di abusi e violenza». «Tuttavia – conclude -, la maggior parte dei migranti e rifugiati in Libia non si trovano nei centri di detenzione gestiti dal Dcim. La stragrande maggioranza, comprese le persone rilasciate o uscite dai centri negli ultimi mesi, vive nelle principali città libiche».

«È di questi i giorni la triste notizia di un nuovo naufragio nel mare Mediterraneo. La fuga via mare sembra ancora essere l’unica soluzione per le persone intrappolate in Libia – denuncia anche Elsa Laino, operatrice umanitaria di Medici senza frontiere che segue i progetti nel Paese -. Il coronavirus e l’escalation militare hanno peggiorato le condizioni di vita di migranti e rifugiati, esposti a minacce di arresto e detenzioni arbitrarie, rapine, rapimenti e abusi». «La situazione – dice – richiede un cambiamento radicale: la protezione dei migranti e dei rifugiati intrappolati in Libia deve diventare una priorità internazionale. Il virus Covid-19 è una minaccia reale ed effettiva, ma la risposta non può essere peggiore della malattia».

Intanto la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Libia (Unsmil) ha espresso “orrore” per le notizie sulla scoperta di almeno otto fosse comune nei giorni scorsi, la maggior parte delle quali localizzate a Tarhuna, città situata 65 chilometri a sud-est di Tripoli, dove nei giorni scorsi sono entrate le forze alleate al Governo di accordo nazionale (Gna). In un messaggio su Twitter, l’Unsmil sollecita le autorità a fare piena luce sulle presunte uccisioni sommarie. «Accogliamo l’odierna decisione del ministero della Giustizia di stabilire una commissione per accertare quanto avvenuto e invitiamo i membri di quest’ultima ad approntare i lavori per mettere in sicurezza le fosse comuni, identificare le vittime, stabilire le cause della morte e consegnare i corpi alle famiglie», conclude la missione delle Nazioni Unite.