Nel voto al Parlamento europeo, la politica italiana ha perso un’occasione per passare nel gruppo di testa dell’Ue. Quando viene il momento di compiere scelte giuste ma difficili, la classe dirigente del Paese “dove fioriscono i limoni” marca visita e invia la relativa certificazione per giustificare la sua assenza. E non è solo un problema di inadeguatezza del governo e della maggioranza di turno, perché anche le opposizioni si riducono all’ultimo momento ad affrontare le sfide della storia in base a quanto potrebbe garantire un maggior consenso purchessia. Alzarsi in Parlamento o urlare nelle piazze che non si devono investire ingenti risorse nella sicurezza (attraverso l’acquisto di armi e di sistemi complessi di Difesa), ma destinare nuovi finanziamenti per la scuola, la sanità (dopo che si sono rifiutati i 37 miliardi del Mes), il lavoro e il welfare, magari anche per le bollette (copyright Giuseppe Conte), è uno dei tanti modi di parlare d’altro e non dei problemi reali su cui è necessario decidere.
A Strasburgo sia la maggioranza che le opposizioni si sono divise nei voti, talvolta anche all’interno delle medesime “famiglie” e delle stesse delegazioni nazionali dei diversi partiti. Nella votazione riguardante il piano ReArm Europe, presentato da Ursula von der Leyen, la coalizione di governo ha assistito alla prevista defezione della Lega, mentre FdI e Forza Italia hanno concorso alla sua approvazione insieme a una larga maggioranza. L’astensione dei meloniani sull’altra votazione sul sostegno all’Ucraina ha rappresentato comunque un momento di discontinuità rispetto alla linea di condotta tenuta dal partito fin da quando era ancora all’opposizione nella passata legislatura. Soprattutto destano preoccupazioni le motivazioni fornite per giustificare un voto di astensione che suonano in sostanza così: non disturbiamo il presidente Trump nel suo lavoro di mediazione.
È questo un modo di attribuire a “Belli capelli” una delega e una fiducia che non merita, visto che è sceso in campo dalla parte di Putin, assumendone la difesa e riconoscendo la validità dei motivi addotti dalla Russia per aggredire l’Ucraina. Certo, è giusto mantenere un rapporto con l’alleato americano. Anche se Trump non è un incidente della storia (come sembrava essere nel suo primo mandato) ma il sintomo di un malessere profondo della società americana, il suo incarico è limitato nel tempo; ci sono tra due anni le elezioni di medio termine che possono cambiare gli equilibri di potere al Congresso; ci sono i mercati che, per fortuna, non guardano in faccia a nessuno (come si è già cominciato a notare) e Wall Street che non prenderà mai ordini da Trump.
È vero allora che solo una posizione unita e ferma della Ue potrebbe introdurre nel dibattito Usa elementi correttivi della strafottenza scombinata che ha dilagato, in un breve arco di tempo, in quello Studio Ovale che è divenuto un set televisivo. Fratelli d’Italia è il partito della presidente del Consiglio, il perno della stabilità del governo. Come tale, ha voce in capitolo per intervenire nei processi relativi alla pace in Ucraina. L’astensione su questo punto suona come una possibile rinuncia a esercitare il relativo ruolo, a cui si aggiunge il prendere sempre più le distanze, da parte di Meloni, dalle iniziative portate avanti da Starmer e Macron, in via prioritaria proprio sulla vicenda ucraina. La premier rischia di estraniare l’Italia dalla “stanza dei bottoni” della nuova Europa (che è costretta a darsi una prospettiva diversa) senza riuscire a svolgere quel ruolo di mediazione tra le due sponde dell’Atlantico a cui ambisce.
Sul versante delle opposizioni, le cose vanno ancora peggio: il campo largo si palesa come una Babele delle lingue; il Pd si isola nel gruppo dei Socialisti&Democratici e nel voto sul ReArm Europe si spacca come una mela. In pratica, Elly Schlein rinuncia, con una motivazione che è solo un gioco a rimpiattino con le parole, a rendere il Pd protagonista di un salto di qualità dell’integrazione europea nel campo della Difesa comune e si limita a riunificare le proprie file – è comunque un bene – nell’impegno a sostenere l’Ucraina come se nulla fosse accaduto nel frattempo. Ma l’azione politica e diplomatica a cui dovesse rinunciare un governo non potrebbe essere assunta in proprio, con la stessa efficacia, da un’opposizione.
Tutto ciò premesso, con un grande pantografo immaginario trasferiamo l’effetto del voto nel Parlamento europeo dei partiti di opposizione italiani nei sentimenti, nelle motivazioni e nelle rivendicazioni di quanti – in forma individuale o collettiva – si ritroveranno sabato in Piazza del Popolo al seguito di Michele Serra. Basta poco per trasformare un’iniziativa equivoca in una pagliacciata.
