L'intervista
Pd spaccato, Zanda alza il tiro: “Congresso, su politica estera serve serietà. Schlein deve ancora maturare per fare la premier”

Luigi Zanda, tra i fondatori del Pd, è stato cinque volte senatore e nella XVII legislatura capogruppo dem al Senato. È tra i dirigenti che chiedono a gran voce un congresso.
Senatore Zanda, viviamo un’epoca senza precedenti. Che fase sta attraversando l’Europa, l’Occidente, il mondo?
«Gli storici guarderanno a questi ultimi decenni come a una sorta di Medioevo, un tempo di passaggio dalla prima metà del Novecento a un Terzo millennio ancora sconosciuto. Oggi stiamo vivendo una fase molto difficile e rischiosa nella quale Trump e Putin stanno lavorando a una ridefinizione delle loro aree di influenza ».
Interessante che lei dica Trump e Putin insieme…
«Trump e Putin hanno oggettivamente interessi simili, anche se una ridefinizione del mondo dovrà comprendere anche la voce della Cina di Xi Jinping. Ma scimmiottare Yalta non sarà facile, perché oggi la situazione è molto più complessa».
Dal grande caos, un nuovo ordine mondiale?
«Non sarà facile che i tre leader da soli possano ridisegnare il mondo, perché l’Europa se è unita conta, ci sono giganti come l’India, ci sono i BRICS, c’è una serie di medie potenze molto armate, molto determinate a far valere i loro interessi a cominciare dalla Turchia, dall’Iran, dalle due Coree, dal Giappone, dalla stessa Israele, dall’Arabia Saudita».
Un processo di disgregazione che non ha ancora una riaggregazione in vista?
«Siamo in una fase accelerata di un processo di transizione e non possiamo francamente dire come finirà».
Una sorta di sub-conflitto mondiale, un conflitto ibrido sotterraneo?
«La direi diversamente. Direi che nei rapporti geopolitici tra gli Stati è entrata anche l’opzione militare».
Per la prima volta, per quanto ci riguarda, dopo tanti anni.
«Sì, l’opzione militare è entrata a gamba tesa nel Vecchio Continente con la guerra ai confini est dell’Europa e con la guerra nel Mediterraneo che era un mare occidentale e nel frattempo è diventato un mare russo-turco».
La Russia di Putin rappresenta una minaccia per l’Europa, per l’Occidente, persino per noi?
«Putin non ha mai nascosto le sue intenzioni. Ha più volte ricordato con nostalgia i confini della Russia zarista e anche i confini reali dell’Unione Sovietica. Non è la prima volta che l’Europa si trova in una grave situazione di pericolo. Negli anni Settanta lo schieramento dei missili atomici SS-20 costituivano per l’Europa un rischio molto grave. E soltanto il controschieramento dei Pershing e Cruise portò a un accordo di disarmo».
Alla de-escalation si arriva toccando un’apice di deterrenza?
«Ci si dovrebbe arrivare con la diplomazia, purtroppo la storia dimostra che serve la deterrenza. Senza l’azione decisa di John Kennedy, Cuba avrebbe avuto numerose postazioni di missili atomici puntati contro gli Stati Uniti. Senza la posizione di Reagan, di Brandt e di Cossiga l’Europa sarebbe stata circondata da una fila di SS-20 atomici sovietici ».
E oggi Ursula von der Leyen dice che dobbiamo correre ai pari. Rimaniamo sguarniti sul fronte est, bisognerà investire in Difesa e riarmare l’Europa?
«L’Europa ha necessità assoluta di difendersi. Finanziare un sistema di difesa antimissilistico, finanziare una rete di satelliti che sottragga l’Europa dall’incubo dei satelliti di Musk. Queste sono soprattutto delle decisioni di Difesa che l’Europa deve prendere anche prima di trasformarsi in uno Stato federale».
E dunque?
«L’Europa deve difendersi, nelle relazioni internazionali valgono gli stessi principi che valgono all’interno di un paese. Noi vogliamo che i carabinieri siano armati, ma questo non significa trasformare i carabinieri in criminali. Anzi. Li armiamo perché vogliamo che lo Stato abbia la capacità di far rispettare il diritto. L’Europa nasce sostanzialmente dalla Shoah, ed ha nel suo DNA la difesa del diritto internazionale contro l’uso della forza».
Scusi Zanda ma, secondo lei, il nostro centrosinistra ha nel DNA la guerra di Liberazione, la Shoah e le regole di Yalta?
«La sinistra italiana è quella che vediamo in Europa, divisa in due parti perfettamente identiche. Ed è una divisione che la descrive, la definisce. Perché un partito deve avere una sua unità politica, una linea condivisa da una parte quanto più larga possibile nelle grandi scelte di politica internazionale. È vero – come è vero – che oggi la politica estera è tutto, anche la politica interna, il welfare, l’organizzazione civile dipendono da come siamo integrati in Europa, da quale parte del mondo scegliamo di stare. L’unità in politica estera dovrebbe essere una priorità assoluta. Quando il segretario di un partito chiede al gruppo parlamentare di adottare una linea che non unisce ma spacca il partito, o ha un disegno (e allora lo deve spiegare) o fa un grande errore».
Torno sul punto: questo Pd è figlio della Resistenza o del movimentismo del ’68? Mi sembra che tra i Padri costituenti e i figli dei fiori, abbiano scelto questi ultimi.
«C’è molto movimentismo, ma ci sono anche delle spiegazioni più profonde. Aveva molta ragione Emanuele Macaluso quando sosteneva che il PD stesse nascendo troppo in fretta e che non doveva essere una semplice sommatoria tra i due partiti, ma avrebbe dovuto avere il tempo e la voglia di elaborare una linea politica propria. Una linea politica del nuovo partito. E credo che sia ancora necessario rimediare a questo ritardo».
Qual è il percorso che indica, un congresso?
«Io chiedo un congresso straordinario perché mi sembra tuttora che sia l’iniziativa politicamente più forte, ma possono essere scelte altre strade. C’è chi ha chiesto un congresso tematico, chi una conferenza nazionale. Io peraltro la conferenza nazionale sulla politica estera la sto chiedendo da un paio d’anni. A me interessa molto il ‘come’ l’argomento della politica internazionale verrà affrontato. Perché, se si trattasse di qualche discorsetto fatto online, allora è meglio lasciar perdere. Sulla politica estera serve molta serietà: un approfondimento, un’iniziativa forte che deve coinvolgere tutto il partito, deve partire dai circoli. In presenza. Bisogna che ci guardiamo negli occhi mentre parliamo, che sentiamo la voce dei nostri amici quando parlano».
È mancato questo tipo di confronto in questi anni?
«Manca da moltissimo tempo».
Elly Schlein ha la caratura per fare la Premier?
«Elly Schlein è stata eletta segretaria, su questo punto non ho altro da aggiungere. Mi sembra però che debba ancora maturare per mostrarsi adeguata alla carica di Presidente del Consiglio. E che debba maturare proprio sulla politica estera».
C’è stato un problema di tenuta, di coordinamento, di sintesi sulla risoluzione votata a Strasburgo?
«Sul voto di mercoledì a Strasburgo abbiamo tutti notato la spaccatura nel gruppo del PD, ma abbiamo poco sottolineato che quell’astensione ha prodotto una posizione di nettissima minoranza all’interno del gruppo dei Socialisti & Democratici. Non abbiamo tenuto conto della posizione dei socialisti tedeschi, della posizione di Sanchez… Mi sembra un aspetto molto serio».
D’altronde la segretaria è giovane, ha preso la testa del partito poco prima di candidarsi: è una iscritta giovane, diciamo.
«Preferisco non parlare».
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