Per qualificare la posizione dell’Italia nei confronti di ReArm Europe basta la parola, come per il confetto Falqui. Ambedue le signore del nostro scontento, anziché assumere – nell’ambito delle responsabilità che ricoprono – posizioni nette all’altezza delle sfide da affrontare, giocano con le parole.

Riarmo? Non è la parola adatta

La premier Giorgia Meloni – pur portando l’adesione dell’Italia al piano di Ursula von der Leyen – va alla ricerca di sinonimi politicamente più corretti al posto delle parole dure che circolano nelle cancellerie europee. Non le piace la parola “riarmo”; con la competenza di una generalessa reduce da tante battaglie, sostiene che non è la parola adatta perché l’acquisto di armi più adeguate è solo uno degli aspetti di una Difesa europea, che chiama in causa la cibernetica, la disponibilità delle materie prime e tantissimi altri domini, tra cui le infrastrutture. Ovvero le armi della nuova tecnologia. A meno che Giorgia non intenda fare il verso al generale Italo Gariboldi, il comandante dell’Armir durante la campagna di Russia nella Seconda guerra mondiale, secondo il quale erano i petti dei bersaglieri le truppe corazzate italiane. Quanto alla presenza di forze armate europee in Ucraina, Meloni ribadisce di essere “molto perplessa, non lo considero efficace”. Esclude comunque “che possano essere inviati soldati italiani”. A suo giudizio, “meglio pensare a soluzioni più durature”, come estendere le garanzie dell’articolo 5 della Nato all’Ucraina senza farla entrare nella Nato. Un triplo salto mortale, in quanto l’Alleanza atlantica si impegnerebbe a difendere l’Ucraina come se fosse un Paese membro, senza accettarla come tale in ossequio al veto di Trump.

La clausola

Ma l’Oscar per la migliore “faccia di tolla” va conferita alla sceneggiata riguardante i fondi di coesione. “Abbiamo condotto – ha dichiarato la premier – una battaglia per escludere i fondi di coesione, cioè per escludere la possibilità che venissero forzatamente dirottate risorse dai fondi di coesione alle spese sulla Difesa. È rimasta una clausola per cui volontariamente le nazioni possono fare questa scelta. Chiaramente noi non possiamo impedire (come abbiamo fatto nel caso del Mes, ndr) che altre nazioni decidano di fare questa scelta, soprattutto quelle che sono più esposte, ma per quello che mi riguarda io proporrò al Parlamento di chiarire fin da subito che l’Italia non intende dirottare fondi della coesione, sono fondi importantissimi per noi, sull’acquisto di armi”. In verità, sono fondi tanto importanti che evitiamo pure di impiegarli e spenderli. La spesa effettiva sui fondi di coesione 2021-2027, pari a 74 miliardi, sta solo al 4%; mentre i progetti che risultavano attivati a fine 2024, per 12,6 miliardi, erano pari al 17% del totale.

La maggioranza divisa

In sostanza, il governo italiano – che si vantava della sua stabilità grazie alla quale si candidava a esercitare un ruolo primario sullo scenario internazionale, anche in nome dell’Unione europea – si ritrova con una maggioranza divisa e deve cedere l’iniziativa a Regno Unito, Francia e Germania. Ovvero a un Paese extra Ue e a due partner a cui l’entourage meloniano guardava dall’alto in basso in considerazione della loro instabilità politica. Per nostra fortuna, pur nell’ambito del suo ruolo e con la cautela necessaria in questi tempi, dal Giappone sono arrivati messaggi inequivocabili da parte del presidente Mattarella. 

Elly gioca con le parole

Sul fronte opposto, anche la giovane caudilla Elly Schlein gioca con le parole, contando sulla solita protezione che viene assicurata (dai media di regime) alle sue improvvisazioni. Il Pd su ReArm Europe prende in carico molte riserve di Meloni e si isola anche all’interno della “famiglia” dei Socialisti&Democratici, inventandosi una posizione palesemente truffaldina, che suona come uno slogan pubblicitario: “Siamo favorevoli a una Difesa comune e contrari al riarmo dei 27 Paesi”. Come se alla Difesa comune dovesse provvedere un esercito parallelo, costituito ex novo con risorse umane e materiali aggiuntive e distinte dallo strumento militare dei singoli Paesi.

La storiella

La posizione di Schlein mi ha fatto tornare in mente una storiella che raccontava mia nonna. Un contadino – stanco di mangiare sempre polenta e baccalà – decide di andare a pranzo in città in un ristorante raccomandato da un conoscente. Seduto a tavola e consultato, il menù è incuriosito dal nome di un piatto: “Pesce veloce del Baltico con budino di mais”. E lo ordina.