Volano le firme per siglare appelli su appelli: vogliamo un’Europa che possa difendersi, da Putin o da chi per lui. Un’Europa indipendente, non alla mercé delle decisioni di potenze che sono molto più grandi di noi, a causa della nostra accidia gattopardesca. Accademici, intellettuali, giornalisti: la società civile europea s’è desta, e nel clima generale di incertezza cerca di guidare i governi sulla scelta da prendere per quanto riguarda il discusso riarmo dell’Europa e il sostegno all’Ucraina.

In Italia, il mondo politico che grida “no” al riarmo è spinto dalla naturale (e italianissima) incertezza nel prendere una posizione (per paura di non schierarsi contro Putin? Per una mera questione di braccino corto?). Eppure, l’eventuale sostegno all’Ucraina toccherebbe circa lo 0,25% della spesa annuale degli Stati membri della Nato; un’opzione indiscutibilmente migliore rispetto alla forte probabilità di dover destinare in futuro percentuali più consistenti dei nostri PIL per la Difesa. Per gli obiettori di coscienza: se la coalition of the willing non è così facilmente identificabile da giustificare la nostra partecipazione a cuor leggero, perché manca una voce unica nella politica estera europea, è altresì vero che l’esigenza di costruire un argine alla minaccia russa è diventata urgente.

Giunti al terzo anno dall’inizio della guerra in Ucraina, 600 firmatari dell’appello promosso dal giornalista ed ex Deputato Olivier Dupuis hanno già chiesto di limitare il potere russo, chiedendo il ritiro immediato delle truppe, il rilascio dei prigionieri, lo smantellamento delle basi militari anche in Abkhazia, Ossezia del Sud, Transnistria e Armenia, la restituzione di quattro isole giapponesi occupate nel 1945, elezioni libere e controllate a livello internazionale in Georgia e Bielorussia, l’ammissione alla Nato di Ucraina, Moldavia, Armenia e Georgia e 300 miliardi in armamenti da destinare all’Ucraina nei prossimi tre anni. Troppo? A sentire loro, il minimo indispensabile. Ci mettono la firma anche l’ex Presidente ucraino, Viktor Juščenko, e l’ex Ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda.

E mentre al grido di “una piazza per l’Europa”, lanciato da Michele Serra, piovono adesioni a dir poco entusiaste per la manifestazione del 15 marzo, un nuovo appello chiede alla Commissione europea di proporre al Parlamento altre misure da applicare con urgenza: rendere la politica estera una competenza condivisa dell’Ue con sua rappresentanza unica e soggetta alla procedura legislativa ordinaria; l’assunzione, a livello Ue, di tutte le cooperazioni militari bilaterali e multilaterali esistenti; la creazione di una forza di reazione rapida di 60mila uomini e un sistema di Difesa europeo che possa mobilitarne 300mila in un mese, come previsto dal New Force Model della Nato.

Viene chiesta anche la realizzazione di uno scudo aereo contro potenziali attacchi missilistici, oltre che la condivisione a livello europeo dell’attuale capacità di deterrenza nucleare degli Stati membri. E finanziamenti con l’ampliamento del campo di applicazione del Meccanismo europeo di stabilità e della Banca europea degli investimenti. Tra i sostenitori italiani di questo appello – promosso dal Direttore del CesUE, Roberto Castaldi – emergono le firme di alcuni ex Ministri, tra cui Lorenzo Guerini (Presidente del Copasir), Giovanna Melandri ed Elsa Fornero.