La regola dell’unanimità frena le decisioni cruciali
La trappola che paralizza l’Unione europea: il ricatto dei veti e il decisionismo unica soluzione
Bruxelles deve varare una riforma per assicurare scelte più rapide ed efficaci. Altrimenti ogni progetto su Difesa e politica estera rischia di essere affossato

Immolarsi per l’Unione europea o, al contrario, per l’Unione dell’Europa? Non è un gioco di parole ma un’amara constatazione che si fa ancora più viva a ottant’anni dai primi, importanti passi avanti verso la comunità tra gli Stati del vecchio continente. L’attualità ci restituisce con spietatezza i limiti di un’unione che è stata costruita – nel 1957 – partendo dal tetto e non dalle fondamenta. Si badi bene: a distanza di tempo è facile ora ribadire questo concetto, ma in occasione del Trattato di Roma gli allora padri costituenti della CEE a quattro anni dal fallimento sul nascere della Comunità europea di Difesa (primo embrione di unione autenticamente politica tra i paesi europei) ritrovarono la forza di proseguire nel cammino comunitario, mettendo al centro delle priorità lo sviluppo dell’economia e del libero mercato. Ed è stata la fortuna del vecchio continente.
Facendo così, concentrandosi sui meccanismi economici, si è perso l’orizzonte politico che – in ottica geopolitica – è il vero “peso” con il quale si è misurati (ricordiamoci il famoso numero di telefono che devo fare per chiamare l’Europa di Henry Kissinger). In più, dal 1992 in avanti, dal Trattato di Maastricht a seguire, l’Unione europea si è avviluppata in criteri e regole che hanno letteralmente imbrigliato l’Ue nella sua forza decisionale. L’allargamento ai nuovi paesi aderenti non ha portato a quel necessario cambio di meccanismo decisionale in sede di Consiglio, con la regola – ancora oggi esistente – dell’unanimità che di fatto frena ogni decisione. I veti minacciati o dichiarati sono la maledizione dell’Unione europea.
Il piano ReArm Europe presentato da Ursula von der Leyen va nella giusta direzione, ma sembra fatto apposta per evitare che la sua approvazione passi con voto unanime. L’errore è già nel nome che “spaventa”. Ad oggi è facile prevedere che verrà azzoppato o messo in discussione dall’Ungheria di Orbán (il cui paese vale l’1% del PIL comunitario) e dalla Slovacchia, paesi filo-Russia. Con l’impianto legislativo comunitario attualmente esistente, ogni passo politico serio richiederà l’unanimità (attualmente impossibile da ottenersi). Se si vuole un vero e proprio esercito europeo, non possiamo esimerci da una costituzione sulla base di una corretta dotazione. Non si può pensare di avere un esercito europeo che supplisca agli Usa sulla base della dotazione odierna dei singoli paesi. Pensarlo è un discorso da anime belle.
La sfida per l’Europa comunitaria è immaginare che questo progetto sia una priorità assoluta tanto quanto gli altri piani di sviluppo economico e sociale di cui c’è bisogno. Non si può promuovere una crescita solo con l’industria bellica. Sarebbe un orizzonte di corto respiro. Ma questo piano – già vecchio – prenderà la luce con gli attuali meccanismi decisionali? C’è da essere pessimisti. E allora cosa fare? Insistere immaginando nuovi strumenti. La formula degli incontri di Parigi e Londra può essere la base di partenza. La Difesa necessariamente va oltre l’Unione europea. Deve essere una sommatoria di Stati comprensivi di Gran Bretagna, Norvegia e – perché no – Turchia. Serve un sistema decisionale rapido e sulla falsa riga della Nato, che si doti di strumenti decisionali e di “cassa”. Considerando come de facto le competenze di politica estera e Difesa siano minime all’interno dell’Ue, sarebbe utile che esse venissero sviluppate e condotte in una struttura più flessibile esterna all’Unione, lasciando all’Ue le questioni di mercato e sviluppo economico.
Se non si procederà in questo modo, sarà impossibile fare quel salto in avanti che è fondamentale. Salto che non può attendere bizantinismi, ma decisioni rapide e snelle. E dovrà giungere anche a una riflessione sul futuro delle basi Usa in Europa. Cambiando il loro approccio di alleanza nei confronti dell’Europa, si giustifica la presenza di basi in Italia o in Germania? Senza avvisi di sfratto, ma quelle basi non dovranno servire un giorno per l’esercito comune europeo? Se autonomia di Difesa deve essere, deve essere piena e quindi senza più la presenza americana sul suolo europeo. Non siamo ai tempi di “Yankee Go Home” degli anni Ottanta rispetto al posizionamento dei missili Pershing in Italia. È, al contrario, un principio di sovranismo europeo. Di cui dovremmo essere orgogliosi.
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