Defend Europe
ReArm Europe, si scrive “sicurezza” si legge “guerra”. Cosa manca per raccogliere gli 800 miliardi annunciati da von der Leyen

L’Europa al bivio della storia è chiamata ad assumere una posizione netta sul piano di riarmo proposto dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, e per rispondere a quella che è a tutti gli effetti una minaccia concreta rappresentata dalla Russia, minaccia che non si esaurisce alla risoluzione della guerra in Ucraina. A spingere i 27 verso una politica concreta di riarmo è anche la consapevolezza che l’ombrello difensivo degli Stati Uniti non è più una certezza, al contrario il vecchio continente deve assumersi la responsabilità del proprio destino e rendersi artefice della propria salvezza. Ad aprire le danze è stato il Presidente Macron che con un messaggio alla Nazione ha voluto assumere nuovamente il ruolo di leader capofila, almeno dei 27, facendo forza sul proprio arsenale nucleare che resterà sempre e solo francese ha puntualizzato l’inquilino dell’Eliseo, ma a disposizione della difesa europea. Anche sul rapporto con gli Usa Macron ha scelto una doppia linea interpretativa che in un certo qual mondo dimostra la difficoltà con cui anche i più attivi evocatori dell’autonomia europea si relazionano con le nuove politiche assunte dagli Stati Uniti.
Il riarmo è necessario – questa sembra essere una consapevolezza ampiamente condivisa – i dubbi restano sul come arrivare alla fatidica cifra di 800 miliardi annunciato dalla Presidente della Commissione europea. Per von der Leyen, “È un momento spartiacque per l’Europa. È anche un momento spartiacque per l’Ucraina. L’Europa affronta un pericolo chiaro e presente, e quindi l’Europa deve essere in grado di proteggersi, di difendersi, così come dobbiamo mettere l’Ucraina in una posizione per proteggersi e spingere per una pace duratura e giusta. Vogliamo una forza pacifica, ed è per questo che oggi presento ai leader il piano di ReArm Euro”.
Anche l’ormai quasi ex cancelliere tedesco Olaf Scholz si è detto favorevole al riarmo, ribadendo che la linea tedesca in tal caso coincide con quella italiana, e parte dall’estensione dei paramenti di spesa per gli investimenti e gli acquisti militari. Altrimenti è chiaro un po’ a tutti il rischio di prendersi in giro da soli. Donald Tusk avverte il peso dell’assenza statunitense e i rischi che produrrà nel lungo periodo, ma è necessario prendere atto della realtà oramai, senza vagheggiare cose che non esistono più: “Sono profondamente convinto che il sostegno americano in termini di comunicazione, ricognizione e intelligence continuerà. Non è facile sostituirlo. Non ha senso lamentarsi della nuova realtà; dobbiamo imparare a gestirla”.
L’Italia anche in questo caso si è posta nel ruolo più complesso tra i 27, quello di mantenere le ultime corde di collegamento politico tese tra le due sponde dell’Atlantico. Mentre per bocca del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani ha criticato il nome del programma “ReArm Europe” che a detta del titolare della Farnesina rischia di terrorizzare i cittadini, per questo secondo il segretario azzurro la parola chiave è “sicurezza”. Anche se tutti leggono guerra. Il governo si è detto soddisfatto per il passo in avanti sul patto di stabilità, ma frena gli entusiasmi degli alleati che sembrano orami aver abbandonato ogni cautela. Se sulla difesa comune però sembra ipotizzabile che l’accordo si troverà, sull’Ucraina la situazione è del tutto differente, visto che ad oggi è chiara l’opposizione del primo ministro ungherese Victor Orban. L’Italia però si è detta contraria all’utilizzo dei fondi coesione per la difesa, risorse che per Roma non devono essere dirottate sugli armamenti. Anche se la priorità sull’agenda italiana resta l’utilizzo di qualsiasi mezzo per impedire che l’Occidente si divida.
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