Dopodomani, 24 febbraio, saranno trascorsi tre anni da quando Vladimir Putin, criminale di guerra secondo la definizione formale che ne ha dato la Corte Penale Internazionale, ha invaso una nazione sovrana, l’Ucraina. Collocata al centro dell’Europa e a poche ore di macchina da Trieste, la repubblica ucraina ha chiesto l’adesione all’Unione Europea e poi alla Nato (sarà un processo lungo per entrambi i casi, ma si arriverà, ha preannunciato Ursula von der Leyen). L’Italia – grazie alla costante e coerente forza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella – ha fattivamente preso parte al fronte europeo del sostegno a Kiev. Contribuendo con aiuti umanitari e generi di prima necessità, abbigliamento e medicinali, sistemi d’arma e apparecchi meccanici alla doppia resistenza del fiero popolo ucraino, nelle città martoriate – dove la popolazione civile ha subìto migliaia di morti – e nei fronti caldi della guerra guerreggiata.

Per chi come noi ha visitato Kiev, Leopoli e le altre città colpite dall’aggressione russa, è stato illuminante vedere come la pace e la guerra scorrano l’una affianco all’altra: gli ucraini vanno a lavorare in banca, al supermercato, negli studi legali e poi si alternano nel volontariato per l’esercito, tutti. Esattamente come accade in Israele, un’altra democrazia che vive sotto costante minaccia esistenziale. In una unica catena di solidarietà nazionale il popolo ucraino dà prova di temperamento saldo e di coesione umana, proprio al contrario di quanto la propaganda di Putin prova a dire. Per ribadire le ragioni dello stato di diritto internazionale, Il Riformista sarà in piazza domenica a Roma in una manifestazione di solidarietà con Kiev e con Zelensky: l’appuntamento è in piazza dell’Esquilino alle 15 per un corteo che arriverà in via dei Fori Imperiali.

Nello stesso momento una delegazione di eurodeputati del gruppo dei Socialisti e Democratici e dei Verdi, tra cui la dem Pina Picierno ed il socialista francese Raphaël Glucksmann sarà in visita in a Kiev per ribadire il sostegno dell’Unione europea al popolo e al governo ucraino, a tre anni dall’invasione dell’Ucraina da parte della Federazione Russa. Con Picierno e Glucksmann viaggeranno anche il socialista tedesco Tobia Cremer, il francese Thomas Pellerin-Carlin e la verde olandesse Reiner Van Lanschot. Delegazioni di riformisti che non si piegano alla deriva filorussa che ritrova fiato, complice il trumpismo alla Casa Bianca, anche da noi: se per Giuseppe Conte «Abbiamo perso la guerra», per la Lega non l’avremmo mai dovuta fare. Il silenzio della segretaria Pd, Elly Schlein, e quello della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, sono i più eloquenti.

La politica italiana mostra i suoi limiti, adesso che la situazione richiederebbe coraggio e slancio. Tra i centristi, solidarietà all’Ucraina da Più Europa e dai Libdem. Anche Carlo Calenda, leader di Azione, era già ieri in Ucraina, a Odessa, porto strategico ambito dai russi, per manifestare solidarietà e impegno a favore delle sanzioni. Dopo l’approvazione da parte europea del sedicesimo pacchetto di sanzioni alla Russia, mercoledì scorso, l’Europa ha fatto capire da che parte rimane. Il nuovo pacchetto prevede tra le altre cose l’uscita di 13 istituti di credito russi dalla rete Swift, che gestisce le transazioni interbancarie; l’iscrizione di altre 73 imbarcazioni sulla lista delle navi-fantasma; la sospensione delle licenze di trasmissione di otto società editoriali; la messa al bando delle importazioni dalla Russia di alluminio e di altri prodotti quali il cromo; e il divieto di viaggio in Europa così come il congelamento degli attivi per altre 48 persone e 35 entità. Emmanuel Macron e Keir Starmer volano a Washington per ribadirlo: Kiev deve stare, come i paesi contributori, al tavolo dei negoziati. Il Presidente Mattarella non perde occasione per richiamare le responsabilità in modo chiaro: «La Russia rientri nel diritto internazionale».

Tuttavia neanche Trump demorde. E ieri, intervistato da Fox News, alla domanda su Zelensky, ha ripetuto: « Non credo che sia molto importante la sua presenza agli incontri. È lì da tre anni. Rende molto difficile fare accordi». Certo se valesse l’inopportunità di trattare in funzione della durata in carica, Vladimir Putin, alla guida della Russia da 25 anni, non potrebbe certo esserci. Dal governo spagnolo ieri un’idea ha percorso i corridoi delle cancellerie europee: utilizzare i beni russi congelati e non utilizzati per aumentare la spesa per la difesa in un momento in cui è necessario ripensare e aggiornare la sicurezza del continente.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.