Nel secolo breve, che poi in effetti è durato molto a lungo, a prevalere è stata la sovrastruttura, per esprimerci in termini marxisti, con il pluralismo delle sue manifestazioni ideologiche e politiche (il comunismo prima leninista e poi stalinista, il fascismo, il nazismo, le socialdemocrazie riformiste, la liberaldemocrazia). Oggi invece prevale nettamente l’enfatizzazione della struttura, specie nel cuore di quella che finora è stata la nazione egemone, cioè gli Usa.

Ci troviamo di fronte a una esplosione del turbocapitalismo ultraliberista che si estrinseca in due leadership carismatiche come quelle di Trump e Musk. Questo slancio parte dall’America dove sta disintegrando, come ha spiegato Sabino Cassese sul Corriere della Sera, le tradizionali forme politiche e amministrative nelle quali si è articolata la democrazia americana con l’annichilimento del Partito democratico, mentre il Partito repubblicano è stato rivoltato come un calzino. Non dimentichiamo mai che Trump, sconfitto alle elezioni del 2020, ha davvero tentato un colpo di mano fallito per un pelo.

Il cuore della politica è il business in tutte le sue dimensioni, e non hanno più alcun significato i valori dell’Occidente e le forme politiche in cui esso si è espresso, sia nell’Alleanza atlantica tra gli Usa e l’Unione europea, sia nella Nato, sia nei confronti del totalitarismo russo in tutte le sue estrinsecazioni storiche (comunismo stalinista di ieri e il putinismo fondato sull’intreccio tra il Kgb e la guerra asimmetrica per ricostruire il sogno della Grande Russia si oggi). Nel quadro di questa totale disintegrazione della nozione di Occidente è chiaro che nell’ottica di Putin l’Ucraina, che vuole preservare la sua autonomia nazionale e la sua democrazia, diventa un fattore di disturbo da azzerare. È decisivo quindi quello che l’Europa riuscirà a fare per consentire a Zelensky di resistere. Rimane valida sul lungo periodo la visione del direttore Velardi: costruire un’Europa realmente unita capace di combinare insieme sviluppo della democrazia, crescita dell’industria e della tecnologia innovativa.

In questo quadro saranno molto importanti le prossime elezioni tedesche e come evolverà la situazione francese. Tenendo conto di questa problematica elenchiamo alcuni contributi assai importanti: il report sull’Europa di Draghi e il suo drammatico discorso politico, la gogna al putinismo e al trumpismo che girano per l’Italia, il piano Mattei e le parole di Marina Berlusconi che, prima ancora che scoppiasse lo tsunami scatenato da Trump contro Zelensky, suggeriva delle messe a punto decisive per quello che dovrebbe essere il comportamento del governo italiano per la tutela dell’Ucraina.

Diciamoci la verità: su questo nodo cruciale entrambe le coalizioni non sono divise, ma addirittura spaccate. Qualche secolo fa, ai tempi della prima Repubblica, il governo si troverebbe al limite della crisi e senza alternativa. Infatti nell’area di centrodestra il duo Salvini-Vannacci è sia trumpista che putinista. Sul polo opposto il campo largo non esiste più, ma non è neanche praticabile l’operazione Franceschini di sommare partiti e movimenti che dicono l’opposto non sulla rottamazione o sull’Irpef ma addirittura sulla guerra, su Trump, sull’Ucraina, su Putin e, per non farsi mancare niente, anche su Gaza e sul Medio Oriente.

Il Pd paga fino in fondo le conseguenze dell’operazione fatta a suo tempo dal Pci-Pds e dal circo mediatico-giudiziario, che è stata quella della distruzione del Psi. Anche per gli errori commessi da Calenda e da Renzi, il nodo della ricostruzione di una posizione garantista ed europeista fondata sui valori dell’Occidente – e del rapporto positivo tra l’Europa e gli Stati Uniti – è decisivo. In ogni caso, come ha sostenuto Draghi, per vivere occorre in primo luogo costruire un’Europa politica, economica e militare.