Parigi non vale una messa, almeno per il centrosinistra. In pratica il lodo Franceschini esce dai confini nazionali e fa il suo esordio in forma ufficiale al summit convocato dal presidente francese Emmanuel Macron al capezzale dell’Europa. Ampio ventaglio di reazioni, dall’imbarazzo del Nazareno alla strenua opposizione del M5S e di Avs, alla più convinta adesione di Italia Viva. Insomma, chi più ne ha più ne metta.

Schlein attacca

Elly Schlein preferisce non entrare nel merito e attaccare, tanto per cambiare, Giorgia Meloni: «L’Italia non può che stare dalla parte di un’Europa più unita e più forte che partecipa a quel negoziato da protagonista». Peccato che la segretaria dem, per prima, non chiarisca quale sia la sua posizione: sicuri che i parlamentari del Partito democratico siano dalla parte di un’Europa più unita e più forte? Sulla linea (ambigua) della segretaria, i tre capigruppo Chiara Braga, Francesco Boccia e Nicola Zingaretti: «Chiediamo alla premier Meloni a Parigi di abbandonare le sirene trumpiane e di collocare l’Italia nel campo europeista dove pace, democrazia e sicurezza sono valori irrinunciabili». Insomma, un auspicio più che una strategia. Molto più netta la deputata milanese Lia Quartapelle: «L’unica cosa che è cambiata tra ieri e oggi è appunto Trump, non è cambiato invece l’atteggiamento ucraino che è determinato a cercare di proteggere il proprio paese e una pace stabile, duratura, sicura. Non è cambiato l’atteggiamento di Vladimir Putin che anche in questi giorni ha bombardato l’Ucraina». La minoranza dem si distingue dalla segretaria: pace sì ma alle condizioni del paese aggredito.

Il mea culpa preventivo di Conte

Giuseppe Conte invece pensa a un mea culpa preventivo. Lo spiega l’eurodeputato del M5S Danilo Della Valle: «Senza una seria e autentica autocritica sulla guerra in Ucraina, il vertice di Parigi è destinato a fallire. I vari Macron, Meloni, Rutte e Von der Leyen hanno sbagliato tutto: hanno pensato di sconfiggere la Russia sul campo di battaglia scommettendo sull’invio di armi a oltranza e adesso sono rimasti col cerino in mano». Un ragionamento ripreso dall’ex presidente del Consiglio: «Vedo molto male il vertice perché l’Europa sin qui è stata pressoché subalterna rispetto a quello che si è deciso a Washington e a Londra. Addirittura i nostri leader europei hanno aggredito Scholz per una telefonata che ha fatto a Putin». Come dire: l’Europa paghi il suo fio, ha sbagliato fin dall’inizio a scagliarsi contro lo zar. D’altra parte, per pentastellati e Alleanza Verdi-Sinistra parla la posizione assunta in Parlamento a gennaio sulla proroga degli aiuti all’Ucraina per il 2025: decisamente contrari.

Il sostegno di Borghi

Più marcato il sostegno del presidente dei senatori di Italia Viva, Enrico Borghi, che al Riformista dice: «Si torna a Parigi, a così tanti anni di distanza dal 1952, quando in quella città si firmò il Trattato della Comunità europea di Difesa, a discutere del tema essenziale e strategico dell’esercito europeo e di un piano di sicurezza del continente. Oggi i nuovi rossobruni europei, sempre affascinati da Mosca, riusciranno ancora ad affossare questa indispensabile infrastruttura di pace e sicurezza? Questa è la partita decisiva. Perderla vuol dire perdersi». Proprio nel giorno in cui il campo largo accoglie la proposta di Conte di organizzare insieme una manifestazione sulla questione sociale, sulla politica internazionale restano le (profonde) divisioni di sempre. Molto più facile accordarsi su un corteo che su una linea politica. Insomma, l’importante è marciare.