Alle Radici
Il rinnovato asse con lo zar
Putin e Trump, storia di un’amicizia fatale che oggi è pronta a scaricare Kiev e l’Occidente e a riscrivere la storia

Il recente post di Donald Trump su Truth Social, in cui definisce Volodymyr Zelensky un “dittatore” e insinua – senza alcuna prova – che i fondi americani destinati all’Ucraina siano scomparsi, ha fatto il giro del mondo. Un attacco che arriva proprio mentre l’ex presidente degli Stati Uniti, impegnato nella sua campagna per tornare alla Casa Bianca, si avvicina sempre più alle posizioni di Mosca. Nei giorni scorsi, una delegazione russa lo ha incontrato a Riad per discutere un possibile negoziato di pace, lasciando intendere da che parte della storia abbia scelto di stare.
Ma il graduale allontanamento da Kiev e il rinnovato asse con il Cremlino non sono certo un fulmine a ciel sereno. Il rapporto di Trump con Vladimir Putin affonda le radici nel 2015, quando – da semplice candidato – l’allora tycoon valutò la possibilità di concludere un grosso affare immobiliare a Mosca. Durante la campagna elettorale del 2016, la comunità d’Intelligence americana rilevò che Trump cercò attivamente il supporto di Mosca, in quello che sarebbe poi passato alla storia come il “Russiagate”. Un dettaglio non da poco: il responsabile della sua campagna per un breve periodo, Paul Manafort, in passato aveva lavorato per politici filorussi in Ucraina, motivo per cui fu costretto a dimettersi. Sempre in quella fase, Trump chiese pubblicamente alla Russia di trovare le email di Hillary Clinton e, secondo le accuse depositate dal Dipartimento di Giustizia nel 2018, gli hacker russi iniziarono a provarci immediatamente.
Durante il suo primo mandato, i legami con Mosca continuarono ad alimentare sospetti. Il consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, fu costretto alle dimissioni per aver mentito sui suoi incontri con l’ambasciatore russo. L’indagine del procuratore speciale Robert Mueller portò alla condanna di Manafort e svelò i contatti della campagna di Trump con funzionari russi, incluso l’incontro alla Trump Tower e il coordinamento con WikiLeaks sulle email trafugate dai democratici. Trump tentò più volte di ostacolare le indagini, licenziando il direttore dell’FBI James Comey e opponendosi alle sanzioni contro Mosca. La sua conferenza stampa con Putin a Helsinki nel 2018 – in cui dichiarò di credere più al leader russo che alla propria Intelligence sull’interferenza elettorale – segnò uno dei momenti più controversi della sua presidenza.
E poi ci fu l’Ucrainagate. Nel 2019 Trump finì sotto impeachment per aver fatto pressioni su Zelensky affinché aprisse un’indagine contro Joe Biden e suo figlio Hunter, in cambio di aiuti militari per contrastare la Russia. Il leader ucraino, che oggi The Donald definisce un “dittatore”, era lo stesso a cui chiedeva favori politici per attaccare Biden, mentre cercava di ingraziarsi Putin. Ora i ruoli sembrano essersi invertiti: Trump sta riscrivendo la storia, ridipingendo Zelensky come un nemico e Putin come un interlocutore credibile. Ma il copione è sempre lo stesso: un leader pronto a sacrificare alleati, valori e persino la verità pur di inseguire i propri interessi.
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