Editoriali
La Ue cambi pelle per non perdere il passo: meno burocrazia, spazio ai target di crescita

L’avvicinamento di Washington a Mosca e l’allontanamento da Kiev e dai partner europei sancisce inevitabilmente un cambio di paradigma nelle relazioni internazionali. Ritenendo il Vecchio continente sostanzialmente marginale, Trump ha avviato il tavolo negoziale direttamente con Putin con l’obiettivo di rafforzare lo standing di Mosca nei confronti del vero competitor degli americani: Pechino. Potremmo scrivere fiumi di inchiostro nel chiederci quale sia il reale vantaggio per gli americani di fare terra bruciata attorno a loro allontanandosi dai suoi alleati. Ma la storia è zeppa di esempi in cui effettivamente Washington non ci ha pensato due volte a lasciare al proprio destino chi si era messo nelle sue mani (Afghanistan, Egitto, Vietnam del Sud). Pertanto ora occorre un bagno di realpolitik nel fotografare con chiarezza la realtà e nel determinare i prossimi passi.
L’Ucraina non può sostenere questa guerra senza il supporto attivo degli Stati Uniti. Washington fornisce a Kiev un’infrastruttura di Intelligence cruciale, necessaria sia per le operazioni offensive che difensive. L’Unione europea potrebbe, in teoria, intervenire, ma non nell’immediato. Servono soldi e tempo per ricostituire una capacità militare di cui oggi è priva. Di conseguenza, l’Ucraina non ha alcuna leva nei confronti di Trump che stabilirà i termini della tregua. Anche gli europei, colpevoli di aver clamorosamente sottovalutato l’importanza di investire nella Difesa, dipendono dagli Stati Uniti. Ecco perché si rimane scettici sulla capacità della Ue di gestire un’operazione di mantenimento della pace senza il supporto americano.
Intanto emergono le prime linee guida di un possibile accordo. Niente adesione alla Nato per Ucraina, Moldova e Georgia. La spartizione del territorio seguirà in larga misura le attuali linee del fronte, con Kursk che potrebbe rientrare nei negoziati. Il grande nodo irrisolto riguarda gli asset russi. Se Trump dovesse includerli nell’accordo di pace, non ci sarebbe molto da fare. L’Europa non avrà né la forza né il coraggio di sfidarlo. E se provasse a bloccare un accordo del genere, The Donald potrebbe rispondere con un ritiro unilaterale e immediato delle truppe americane da tutta l’Europa orientale.
A questo punto, non ci sono grandi strategie che la Ue possa adottare se non lasciare che Trump imponga la sua pace e iniziare a risolvere il problema della perdita di competitività dell’economia europea. Perché se è vero che non può esserci sicurezza economica senza capacità militare, è anche vero che la capacità militare deve poggiare su un’economia che funzioni. L’obiettivo deve essere uno solo: raggiungere una crescita strutturale del 2% e smettere di illuderci di essere una potenza globale. Perché, ormai, è evidente che non lo siamo.
Il primo passo? Scorporare le spese della Difesa dal Patto di stabilità e abolire il Green Deal. Sul primo fronte dovrà essere la Bce a ricoprire un ruolo cruciale nel permettere agli Stati di finanziarsi a tassi di interesse controllati. Ogni altra soluzione come Eurobond, o peggio ancora Mes, appare poco praticabile: nel primo caso perché non arriverebbe il placet da tutti i paesi membri della Ue, mentre nel secondo caso perché si strozzerebbero ulteriormente quelle nazioni (come Francia e Italia) già affaticate dalla sbornia del debito post-Covid.
Ma non basta. Occorrerà lavorare per acquisire competitività. E quella si ottiene agendo sugli input produttivi. In quest’ottica, le politiche climatiche europee non solo hanno determinato la distruzione assolutamente gratuita di interi settori industriali – distruggendone la competitività a vantaggio di alcune lobby e della Cina – ma hanno anche impedito la maturazione dell’Unione europea da sistema monetario (disfunzionale e dirigistico) a soggetto geopolitico. Bisogna sospendere i target di decarbonizzazione, ridando priorità all’industria. Parallelamente andrà sviluppata l’azione di approvvigionamento di materie prime e terre rare, anche attraverso accordi con paesi del continente africano (l’estrazione e il riciclo in Europa non sono sufficienti). Ma tutto questo sarà possibile se prevarrà l’intenzione di cambiare la natura della Ue, sburocratizzandola e mettendo al centro i target di crescita piuttosto che quelli di riduzione della CO2.
Se non si effettuerà questo passaggio, l’Unione rischia di andare in frantumi. Divisa tra i paesi nordici e dell’Est Europa, che manterranno una postura filo-Usa, e i paesi dell’Europa occidentale che finiranno tra le braccia di Pechino.
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