I riformisti Pd sono sul piede di guerra. E ad alzare i toni sono spesso le donne: se la leader del Pd “radicalizzato” è la prima segretaria donna, eccone quattro che non gliele mandano a dire.

Dall’Europa, brilla l’atlantismo e l’orgoglio occidentale di Pina Picierno, la giovane vicepresidente dell’Europarlamento sempre critica verso l’irenismo dei vari Tarquinio e i mal di pancia sull’Ucraina. Nel partito, in prossimità ideale con Paolo Gentiloni, c’è l’ex ministra dei Trasporti, Paola De Micheli, che rappresenta la nobile scuole dell’ala governista di scuola emiliana e ha di recente visto arrivare in Parlamento, al posto di Andrea Orlando, il “suo” Alberto Pandolfo. C’è Lia Quartapelle, che ancora ieri ha alzato il tiro sulla Russia: “Sta tenendo un comportamento aggressivo nei confronti di vari paesi europei. Ci dobbiamo attrezzare con una politica di difesa comune: in un mondo pericoloso dobbiamo essere in grado di difenderci”, ha dichiarato. Chapeau.

E poi c’è Simona Malpezzi, senatrice dem, capogruppo al Senato tra il 2021 e il 2022, che sbarra la strada al landinismo dilagante con una posizione tanto coraggiosa quanto ferma. «Sarà bene discutere la linea del PD per il referendum contro il Jobs act, tanti nel partito hanno vissuto quella stagione e ci vuole rispetto reciproco», ha fatto notare ieri. La senatrice Malpezzi non intende rinnegare la riforma del mercato del lavoro voluta dal governo Renzi. «Il Jobs act è solo dei tanti interventi avvenuti negli ultimi 15 anni, è un provvedimento complesso, che aveva dentro contenuti molto importanti – sottolinea in una intervista a La Stampa -: il superamento dei co. co. pro, le tutele per le partite Iva, le risposte per il precariato, il superamento delle dimissioni in bianco. Altre cose sono state poi superate anche dalla Corte costituzionale. In ogni caso riguarda un percorso passato, rischiamo di tenere lo sguardo rivolto all’indietro, nello specchietto retrovisore, senza concentrarci su cosa il governo non sta facendo: nulla per la precarietà, delegittimazione della contrattazione sindacale, le donne… non pervenute. Vorrei concentrare le energie su questo», dice tra l’altro. E aggiunge: «I referendum sul Jobs act non mi appassionano. Non parteciperò al voto, poi vedrò tecnicamente se non ritirare la scheda o cosa. Schlein dice che lei ha una storia e io la rispetto molto. Ma anche io ho una storia e penso che le storie vadano rivendicate. Non significa che tutto quanto si è fatto sia perfetto. Ma se ci sono elementi da modificare è meglio usare il bisturi dell’accetta».

Così parlano i riformisti. O meglio, le riformiste: perché nel Pd le posizioni più avanzate oggi sono espresse dalle quattro donne che potrebbero salvare la faccia del centrosinistra.

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Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.