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Trump come il Covid, perché le borse sono crollate: l’incubo recessione e l’apertura a investire negli Usa

Bisogna risalire all’inizio della pandemia di Covid-19 per ricordare un tonfo cosi sordo per la Borsa di Milano. L’indice Ftse Mib ieri, cioè la giornata conclusiva della settimana dei “dazi” americani, ha registrato una chiusura del 6,5 per cento. Un risultato simile si ebbe il 16 marzo 2020 quando l’azionario del capoluogo lombardo segnò meno 6,1 per cento. Era il periodo della pandemia globale: 7 giorni prima, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte proclamò il lockdown. L’Italia si fermò e i timori degli operatori economici, poi rivelatisi esatti, era l’arrivo di una recessione. Oggi come allora, gli investitori di mezzo mondo hanno la stessa paura: la guerra commerciale iniziata da Donald Trump potrebbe gettare l’economia globale in una lunga recessione. Non è solo Milano a far registrare perdite forti: la Borsa di Parigi ha chiuso con meno 3,9 per cento; sulla stessa linea Berlino che indica un meno 4 per cento. Non vanno meglio le cose a Londra dove le contrattazioni si sono fermate a meno 4,1 per cento.
I motivi dei cali
Diverse sono le ragioni in base a questa ondata di vendite globali. Il varo dei dazi “reciproci” dell’Amministrazione Trump ha gettato nel panico i policy maker economici. La strategia americana, nella migliore delle ipotesi, non sembra essere approntata alla razionalità e la paura principale è che l’economia cada in recessione. Ancora, nei mesi scorsi i vari indici sono saliti molto grazie alle materie prime, alle banche e alle aziende del digitale. Molti speculatori stanno “realizzando”, cioè vendono le azioni per incamerare i profitti e destinarli ad altri investimenti come ad esempio i beni rifugio: oro, argento e anche valute digitali. Indicativa è la situazione di Milano. Da lunedi 31 marzo a ieri, il Ftse Mib ha perso oltre il 9 per cento.
Nella giornata di ieri sono stati particolarmente sotto pressione i titoli bancari che nei scorsi mesi hanno vissuto un periodo di forte crescita. Tra i peggiori titoli della settimana appena conclusa anche Stellantis direttamente coinvolta nella nuova politica dei dazi made in America: l’ex gruppo Fiat lascia sul terreno oltre il 17 per cento del valore. Nel complesso, Milano ha “bruciato” capitalizzazioni per circa 50 miliardi di euro. Oltre al “sell out”, Milano perde con forza perché l’Italia è il secondo Paese dell’Unione Europea maggiormente colpito dalle tariffe supplementari imposte dalla Casa Bianca. Non solo. il Belpaese è anche integrato nella filiera automotive tedesca e francese. Se Parigi e Berlino vendono meno auto, soffre anche il sistema Italia che rappresenta una delle principali aziende della componentistica.
Capitali verso gli Usa
Un altro elemento che colpisce Milano è il fatto che molte aziende italiane stanno pensando di trasferire la produzione, o una parte di essa, negli Stati Uniti per pagare meno dazi.
Il primo ad “aprire” a questa ipotesi è stato il gruppo Lavazza. L’azienda italiana del caffè realizza già metà della produzione a West Chester in Pennsylvania. “Il nostro obiettivo rimane quello di crescere negli Stati Uniti, perché il mercato americano… ha una dimensione immensa paragonata al resto del mondo”, afferma il numero uno del gruppo, Antonio Baravalle. “Avevamo già pianificato di aumentarla la produzione al 100% per cento – spiega – Siamo pronti a partire domani mattina”. Anche perché la “seconda gamba” della politica economica di Trump è detassare al massimo le aziende che si delocalizzano negli Usa. Ciò potrebbe portare ad una fuga di imprese dall’Europa verso gli Stati Uniti. Con le imprese, partirebbero anche i capitali: ecco perché è fondamentale che l’Unione Europea decida di intervenire con forza. Magari non premendo sui dazi ma facendo in modo da evitare la deindustrializzazione del vecchio Continente.
Recessione
Sullo sfondo si staglia lo spettro sempre più concreto di una recessione globale. Non solo Goldman Sachs continua ad aumentare le probabilità che essa si verifichi quest’anno, anche tutti i principali analisti stanno rivedendo le stime di uno stop all’economia globale già a partire dal secondo semestre del 2025. Una ipotesi, quest’ultima, che rende ancora più nervosi i mercati. Come tutti sanno, gli operatori economici agiscono in base alle aspettative. Se queste peggiorano, anche gli investimenti si fermeranno perché nessuno vuole perdere soldi. In tutto ciò, l’Europa ancora balbetta soluzioni. Come per il riarmo, anche per l’industria servirebbe un piano complessivo che aiuti ad evitare battute di arresto.
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