Troppo a ridosso del proclama di Trump per essere visto come una reazione immediata dell’Ue. D’altra parte, il primo vertice Europa-Asia centrale della storia si è svolto a Samarcanda davvero poche ore dopo che il presidente Usa firmasse il suo ordine esecutivo. E così, nella mattinata di ieri, le dichiarazioni di Ursula von der Leyen dal summit, in risposta ai dazi, arrivavano proprio quando ancora le redazioni facevano ordine tra quelle del tycoon della notte prima. «Finalizzeremo il primo pacchetto di contromisure sull’acciaio e ne prepareremo altre in caso di fallimento dei negoziati». La presidente della Commissione Ue conferma la linea dura, ma insiste a tendere la mano a Trump, per quanto lui non sappia cosa farsene.

La guerra è iniziata

La guerra è iniziata. L’idea del governo italiano di poter evitarla rischia di tradursi in un’illusione. Trump ha fatto la prima mossa, quindi ha dalla sua il tempo. Noi dobbiamo rispondere muovendoci su un quadrante globale dove la bandiera europea sventola senza far battere i cuori. Al di là di normative e accordi sui massimi sistemi, infatti, le relazioni commerciali poggiano sulle mosse dei singoli Stati. Per non parlare della spregiudicata intraprendenza degli operatori economici. Industriali-globetrotter che vanno ad aprire canali di scambi in mercati indicati sulla carta geografica con un suggestivo “Hic sunt leones”.

Il digitale

Messa da parte l’idea di una ritorsione – che non piace né all’Italia né all’industria dell’auto tedesca – è urgente capire su quali zone del Risiko puntare e con quanti carri armati. Il fronte digitale è quello più gettonato. Perché follow the money. Tra cloud, servizi finanziari e social, gli Usa hanno esportato in Europa circa 320 miliardi di dollari nel solo 2024. Tanta roba. Un contro-dazio, però, può innescare altra inflazione qui da noi e far imbestialire Musk. Siamo pronti ad affrontare il Faust? D’altra parte, così come Bruxelles non può dire sempre no – Draghi cit – nemmeno si può continuare a essere critici. Oltre al web, quindi, si faccia attenzione all’economia reale. Asia centrale, America latina e India sono tutte opportune.

Le mosse

«Con l’Uzbekistan e i Paesi vicini abbiamo un’amicizia di lunga data basata su vivaci scambi commerciali». 54 miliardi di euro per essere precisi. Von der Leyen ha voluto far vedere che la missione a Tashkent non si sarebbe ridotta a una photo opportunity e un incontro stampa dove parlare di tutt’altre faccende. Al contrario, il summit fa il paio con l’accordo di novembre 2024 con i Paesi del Mercosur (109,5 miliardi, nel 2023). A suo tempo, gli agricoltori avevano espresso non pochi timori che i prodotti giunti dall’America latina, più a buon mercato e svincolati da rigidi standard ambientali, potessero scalzare quelli domestici dalla rete della Gdo europea. Oggi quelle perplessità possono essere ridimensionate? Forse. A patto che l’Ue faccia chiarezza sui regolamenti di sostenibilità ambientale che disciplinano le importazioni. Il Cbam per la decarbonizzazione e l’Eudr sulla deforestazione è tempo che giungano a una conclusione – o una revisione? – per facilitare le imprese.

Gli altri Paesi

Ci sono poi l’India, la cui bilancia commerciale valeva 124 miliardi di euro, sempre nel 2023, Taiwan, Vietnam, Indonesia eccetera. Magari facendo leva sulle relazioni già in essere. Il paradigma per cui noi esportiamo prodotti finiti e know how in cambio di commodity funziona. Si chiama friendshoring. Peraltro queste sono le vittime più colpite dallo tsunami Trump. L’ambizione alla crescita e la convinzione di essere sotto il costante torchio colonialista dell’Occidente – per cui è giunta l’ora di regolare i conti – potrebbero diventare un’utile spalla per gli interessi europei. A condizione che si dimentichino che i primi a colonizzare il mondo fummo noi europei. Non gli Usa.

Il mercato USA

Fuori da questo ragionamento resta il problema che, pur essendo molti di più di quelli americani, i consumatori di Asia e Sud America non potranno mai competere con la disponibilità di cassa di quelli che a Washington, in Texas o California comprano le nostre auto, bevono i nostri vini o lavorano sui nostri macchinari in fabbrica. È un fatto di potere d’acquisto. I clienti non si contano. Si pesano.