L'analisi
La scommessa strategica di Trump e l’unica certezza: il mondo post-pandemia si sta riorganizzando intorno a nuove priorità
Se il 1989 ha segnato la fi ne del comunismo, i dazi di Trump imposti ai principali partner commerciali degli Usa potrebbero rappresentare un momento altrettanto cruciale per il sistema economico globale

L’era della globalizzazione così come l’abbiamo conosciuta potrebbe essere giunta al termine. Se il crollo del Muro di Berlino nel 1989 ha segnato simbolicamente la fine del comunismo, la decisione di Donald Trump di imporre dazi massicci ai principali partner commerciali degli Stati Uniti potrebbe rappresentare un momento altrettanto cruciale per il sistema economico globale. L’annuncio dei nuovi dazi, battezzato “Liberation Day”, ha suscitato reazioni immediate e contrastanti. Economisti e analisti si sono affrettati a riproporre modelli catastrofici simili a quelli elaborati durante la Brexit o le sanzioni contro la Russia.
Tuttavia, gli effetti dei dazi non si misurano solo a breve termine, ma nell’arco di cicli economici più lunghi. Nel breve periodo, i dazi rappresentano uno shock sui prezzi e sulla produzione, paragonabile agli effetti economici della pandemia da Covid-19. L’impatto immediato è negativo per l’economia americana, che si trova ad affrontare un’imposizione fiscale indiretta sui consumatori. Tuttavia, Trump ha una visione chiara e a lungo termine: rilocalizzare la produzione negli Stati Uniti, ridurre il deficit commerciale e rafforzare la sovranità economica del Paese.
Una scommessa strategica
Le misure protezionistiche introdotte dall’amministrazione Trump mirano a cambiare radicalmente il modello economico statunitense, storicamente basato sul consumo interno e sull’importazione di beni a basso costo. L’obiettivo è rilanciare la produzione nazionale, creando nuove opportunità di lavoro e riducendo la dipendenza dalle catene di approvvigionamento globali. Nonostante le critiche, è probabile che Trump ottenga risultati significativi sul fronte del reshoring industriale. Molte aziende straniere stanno già annunciando nuovi investimenti negli Stati Uniti per evitare l’impatto dei dazi. Certo, i posti di lavoro persi nel passato non torneranno, ma si creeranno nuove opportunità in settori emergenti. L’efficacia delle misure, tuttavia, dipenderà anche dal successo di Trump nel far approvare la propria agenda fiscale al Congresso. Se i Repubblicani dovessero perdere le elezioni di metà mandato, il rischio di recessione per gli Stati Uniti aumenterebbe. Ma il Presidente sembra convinto che i dazi, insieme a politiche fiscali mirate, possano generare entrate sostanziali e ridurre il deficit di bilancio.
L’Europa tra incudine e martello
Se per gli Stati Uniti questa nuova fase può rappresentare un’occasione di rilancio, per l’Europa la situazione è ben diversa. La reazione di Bruxelles è stata finora cauta ma determinata. Ursula von der Leyen ha dichiarato che l’Unione Europea seguirà da vicino gli effetti indiretti dei dazi, specialmente per quanto riguarda il rischio di dumping sul mercato europeo da parte della Cina. L’Europa, che nel 2024 ha registrato un surplus commerciale di 230 miliardi di dollari, è consapevole di quanto la propria economia sia vulnerabile a una guerra commerciale su più fronti. Se da un lato i dazi imposti da Trump rappresentano una minaccia diretta, dall’altro la possibilità di un afflusso massiccio di prodotti cinesi esclusi dal mercato statunitense costituisce un pericolo altrettanto grave.
Nel tentativo di difendere i propri interessi, l’UE potrebbe cercare di negoziare con Washington, magari offrendo maggiori aperture all’importazione di prodotti agricoli americani o riducendo alcune barriere non tariffarie. Tuttavia, le possibilità di un accordo immediato sembrano scarse. Alcuni analisti ipotizzano che l’Europa possa colpire i servizi statunitensi con tariffe mirate, visto che il disavanzo nei servizi tra UE e USA è circa la metà del surplus nei beni. Tuttavia, imporre dazi sui servizi è molto più complicato rispetto ai beni materiali: le aziende possono facilmente spostare le loro attività fuori dall’UE, e i consumatori europei difficilmente rinuncerebbero ai servizi tecnologici americani.
Il fattore Cina e le incognite del futuro
L’atteggiamento della Cina sarà determinante nel delineare i nuovi equilibri commerciali globali. Se Pechino decidesse di dirottare i propri flussi commerciali verso l’Europa, si aprirebbe un nuovo fronte di tensione. La possibilità di una guerra commerciale tra UE e Cina è uno scenario che Bruxelles vuole evitare, ma che rischia di diventare inevitabile se i dazi americani spingeranno Pechino a cercare nuovi mercati di sbocco. L’Unione Europea si trova così tra l’incudine e il martello: da un lato deve affrontare un partner commerciale americano sempre più assertivo, dall’altro una Cina pronta a inondare il mercato europeo con i propri prodotti. L’idea di un’azione coordinata con i Paesi asiatici maggiormente colpiti dai dazi americani — Cina, Corea del Sud, Giappone, Taiwan e Vietnam — appare poco realistica. La frammentazione degli interessi e la mancanza di un fronte comune permettono a Washington di giocare i vari attori l’uno contro l’altro.
Una Partita Aperta
Trump ha scelto di sfidare l’ordine economico internazionale con l’obiettivo di riportare la produzione all’interno dei confini nazionali.
È una strategia rischiosa, ma coerente con la sua visione di un’America più forte e indipendente. L’Europa, invece, si trova ad affrontare un bivio: accettare un riequilibrio commerciale che inevitabilmente comporterà sacrifici o proseguire in una guerra commerciale su più fronti che potrebbe rivelarsi insostenibile. Il futuro della globalizzazione è appeso a un filo. Ma se c’è una certezza, è che il mondo post-pandemia si sta riorganizzando intorno a nuove priorità e nuovi equilibri.
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