Lo spettro del PIL allo 0,2%
Dazi e contro-dazi, quello che l’Italia e le aziende non devono fare: la ricetta per evitare il declino industriale
È il momento del coraggio, evitando la guerra dei “contro-dazi”. La ricetta per le imprese? Nuovi mercati e sganciarsi dagli Usa. Confindustria si appella a Bruxelles: non è il tempo delle parole

La rivoluzione dei dazi varata dagli Stati Uniti avrà conseguenze su tutta la struttura produttiva ed economica mondiale. L’Italia dovrà essere capace di affrontare i profondi cambiamenti che l’introduzione di tariffe globali comporteranno per le aziende, i cittadini e le intere filiere produttive. Le conseguenze non tarderanno a essere avvertite. L’ufficio studi di Confindustria rivede al ribasso le stime per il Prodotto interno lordo italiano del 2025 portandolo a uno scarno +0,6%. Gli esperti del sistema imprenditoriale si spingono più avanti e avvertono: il calo del PIL, in caso di una guerra commerciale, potrà essere molto più consistente e far arenare la crescita a +0,2%. Il che significa, da un punto di vista tecnico, che l’Italia sarebbe in stagnazione.
Ecco perché le scelte che la politica dovrà fare nei prossimi mesi, di concerto con il mondo delle imprese, saranno decise per favorire una nuova strada per il Made in Italy. Come spiega il numero uno di Confindustria, Emanuele Orsini, “in momenti difficili come questo servono misure straordinarie e coraggio straordinario. Abbiamo bisogno che il nostro governo abbia coraggio e che l’Europa cambi rotta”. In poche parole: “Noi abbiamo bisogno che ci siano politiche serie dell’Europa e del nostro Paese che mettano al centro l’industria”. Per la serie: basti grilli ideologici, procediamo in maniera pragmatica.
Le conseguenze
L’export italiano verso gli Stati Uniti è fatto di numeri importanti: nel 2024 ha raggiunto la cifra record di ben 65 miliardi di euro. Per intenderci: il 10% del totale delle vendite all’estero del Made in Italy si fa negli Usa. Nel periodo 2019-2023, poi, l’aumento dell’export verso Washington ha permesso un incremento generale del 4,5%: un valore notevole. I settori più coinvolti sono bevande, farmaceutica, autoveicoli, altri mezzi di trasporto e l’intramontabile lusso italiano.
Come spiega il report del Centro Studi, inoltre, dal 2022 sono state varate a livello mondiale più di 3.400 misure protezionistiche all’anno, quasi 3mila in più rispetto a quelle introdotte prima del 2020. Un’eventuale escalation protezionistica, generata da ritorsioni tariffarie tra le principali economie mondiali, minerebbe la struttura stessa degli scambi e della produzione internazionali, con profonde ricadute sul PIL globale.
Le aziende italiane al bivio: le soluzioni
A questo punto le aziende italiane si trovano davanti a una sfida molto complessa: reinventare sé stesse per non perdere competitività, quote di mercato e valore. È chiaro che nel breve termine le conseguenze dei dazi si faranno sentire in maniera pesante, causando una contrazione del volume delle vendite e un taglio dei profitti e delle aspettative di utili. Nel mentre, però, le imprese del Made in Italy dovranno agire su tre fronti.
Anzitutto sarà necessario riorganizzare la “supply chain”: le imprese dovranno ridurre la dipendenza dai mercati statunitensi e diversificare le fonti di approvvigionamento, cercando partner e mercati alternativi per minimizzare i costi extra legati ai dazi. Per rimanere competitive, sarà necessario rafforzare l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione dei processi produttivi, in modo da aumentare l’efficienza e ridurre i costi operativi. Infine, in alcuni settori, potrebbe risultare vantaggioso riconsiderare la collocazione degli impianti produttivi, avvicinando la produzione ai mercati di sbocco o all’interno dell’Europa per evitare ulteriori barriere commerciali. In quest’ottica, diventa più chiaro l’appello del numero uno degli imprenditori. Per arginare i dazi e agire a livello globale, le aziende avranno bisogno di tempo e risorse. Non è pensabile che possano farcela da sole.
Dunque, più che pensare ai “contro-dazi” da applicare agli Stati Uniti, l’Europa e l’Italia dovrebbero strutturare un piano di interventi operativi che sostenga le aziende nel complesso periodo di transizione verso nuovi mercati e verso nuove forme di organizzazione. Servono soldi e bisogna evitare di gravare sulla struttura dei costi. Se questi ultimi dovessero aumentare con la contemporanea caduta delle vendite, si creerebbe un misto pericoloso che potrebbe portare a licenziamenti e chiusure. Uno scenario da scongiurare in tutti i modi. Prospettiva quanto mai fosca per il Belpaese, vista l’impossibilità di realizzare manovre espansive di politica fiscale a causa dell’enorme debito pubblico. Se l’Europa vuol proteggere la propria filiera produttiva, lo deve dimostrare con scelte coraggiose e concrete. Altrimenti il declino industriale non sarà più reversibile.
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