Gli Usa temono l’effetto boomerang
Dazi, l’agroalimentare è un campo minato, il Big Ben di Trump e l’sos Filiera Italia: “Rispondere con tasse su web e software”
Filiera Italia: “Nessuno negozi per sé”. Pallini, presidente di Federvini: “Rischiamo un colpo durissimo”. Esportazioni a picco del 20% Gli agricoltori americani, se l’inflazione non dovesse scendere, sarebbero furibondi con Trump

Quella di ieri è stata la giornata dell’attesa. Le lunghe ore prima del Big Ben trumpiano sono state scandite dall’austera certezza espressa dal Presidente Mattarella, che rimarcava l’errore profondo dei dazi Usa e per i quali auspicava «una risposta dell’Ue serena, compatta e determinata». Gli faceva eco il vigore manifestato dal ministro Lollobrigida. «L’Italia è una superpotenza e vincerà ogni sfida», diceva intervenendo a Palazzo Chigi alla prima edizione del Premio Maestro dell’Arte della Cucina Italiana. Evento azzeccato per difendere l’agroalimentare Made in Italy, che ha sempre trovato nell’altra sponda dell’Atlantico un mercato a prova di crisi.
Non si può vivere senza Usa
Dazi o meno, non si può vivere senza gli States. Il primo importatore al mondo. Soprattutto in termini di derrate alimentari. Da Canada, Messico e ovviamente Europa. Per la filiera agroalimentare italiana gli Usa valgono 7-8 miliardi, con un tasso di crescita del 18%. Con un focus su prodotti premium, che vanno dal Parmigiano Reggiano ai vini di alta gamma, quindi indirizzati a consumatori poco sensibili alle oscillazioni dei prezzi.
«Nessuno pensi di negoziare per sé». Lo dice con fermezza Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia. «Bisogna reagire come Europa». Ben sapendo però che siamo nelle mani di Trump. «Se sceglie di imporre tariffe indiscriminate vorrà dire che avrà voluto penalizzare l’Europa come soggetto unico. Se farà come nel 2019, al contrario, quando punì lo Champagne ma non i vini italiani visto che il nostro Paese non era in alcun modo coinvolto nell’affare Airbus, si dovrà prenderne atto». L’agrifood è un campo minato per tutti, quindi. Sia per l’Europa che subisce, sia per l’America che impone. Scordamaglia ricorda infatti il rischio che si sta accollando il presidente Usa.
Le uova a 12 dollari e la risposta con dazi tecnologici
Le conseguenze negative che già stanno avendo gli agricoltori del Kansas o del Wisconsin, che lo hanno votato, per i contro-dazi cinesi alle commodities agricole Usa, o gli stessi consumatori americani per l’aumento dell’inflazione alimentare. Il caso delle uova che sono arrivate a 12 dollari a dozzina – da 4,10 che erano nel marzo 2024 – è emblematico. Ecco perché, agli occhi dell’imprenditore, l’Ue è meglio che faccia una mossa del cavallo. Senza illudersi di sostituire gli Usa con altri mercati ed evitando gesti ridicoli come tassare il Bourbon al 50%. «Se da parte Usa venisse meno il buon senso non potremmo che rispondere, invece, aumentando la tassazione su tutto ciò che non passa nelle frontiere fisiche, bensì attraverso download, web, applicazioni e software. Se vuoi difenderti, devi minacciare l’economia Usa dematerializzata». Una soluzione che resta comunque un’ultima spiaggia. Scordamaglia è ottimista infatti: «Continuo a credere che il buonsenso, seppur in presenza di una persona che potrebbe fare una scelta istintiva, dovrà prevalere».
Dazi, il dramma dei vini italiani
Altrettanto accorata è la voce della filiera vitivinicola; 2 miliardi di euro, cubati nel 2024, +6,6% sul 2023. Per Micaela Pallini, presidente di Federvini, i dazi rischiano di tradursi in «un colpo durissimo per noi». Il problema che si avrà con le tariffe andrà ad aggiungersi alle decisioni che gli importatori in Usa stanno già applicando. «Non volendo correre il rischio di avere bottiglie bloccate in dogana, ci stanno chiedendo di sospendere le spedizioni». Federvini stima un impatto che potrebbe partire da una perdita del 20% delle nostre esportazioni, con possibilità di salire ulteriormente a seconda dell’entità delle tariffe. «Ma l’effetto reale sarebbe ben più ampio», aggiunge Pallini. «Quella quota, una volta giunta a scaffale, si moltiplica, fino a triplicare, coinvolgendo non solo chi esporta, ma anche tutta la catena distributiva e commerciale americana, dagli importatori ai ristoratori». Ripercussioni, quindi, che si avrebbero su entrambi i lati dell’Oceano, con effetti economici e occupazionali profondi e condivisi. «È per questo che chiediamo al governo italiano di intervenire con urgenza in sede europea», conclude la presidente di Federvini, sottolineando la necessità di promuovere una trattativa che eviti una deriva commerciale e salvaguardi un settore strategico del Made in Italy.
«Non c’è più tempo. Serve una risposta immediata. Non possiamo permettere che a pagare il prezzo di queste tensioni internazionali siano i nostri territori, le nostre imprese e il lavoro di migliaia di persone». Al di là degli annunci politici, contro i dazi-veleno (Renato Brunetta cit) bisogna far leva sul «buon senso», come ha espresso Scordamaglia. Perché per l’agroalimentare italiano non ci sono alternative. Il Made in Italy non si può produrre in America. Vini e formaggi non sono macchinari o pneumatici.
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