‘Ricomincio da capo’, a confronto, era una favoletta
Lo scandaloso caso del prof. Schiavone, un’odissea giudiziaria
Questa storia ha dell’incredibile. Perché, anche se ne sembra il remake, non è ‘Ricomincio da capo’, film in cui il protagonista Bill Murray si trova a rivivere sempre lo stesso giorno, senza progredire. Questa è la storia, per me assai scandalosa, di un professore, Nicola Schiavone, un professionista, un settantenne per bene, incensurato, che per il solo fatto di avere un cognome sbagliato, identico a quello di un boss, e di averlo a Casal di Principe dove appunto alligna il clan col suo stesso cognome, si trova nei guai anche se la magistratura gli ha riconosciuto, facendo indagini su di lui, il titolo di persona per bene.
Accade infatti che nell’aprile 2016, il celeberrimo, famigerato Francesco Schiavone, in arte Sandokan, detenuto nel carcere di Parma, venga registrato mentre è a colloquio con i suoi familiari. Nel chiacchierare con loro, dice che “da zio Nicola pretende un aiuto economico protratto nel tempo”. E chi e’ ‘zio Nicola’..?, si chiedono i magistrati che ascoltano. Forse Nicola Schiavone. Scatta quindi l’iscrizione del professore nel registro indagati per 416 bis. Roba pesante. Seguono necessarie indagini corredate di intercettazioni ed escussioni varie da parte della Dda di Napoli (la più grande d’Italia), per mano di un pool composto da tre magistrati. Tra loro, una certa dottoressa Graziella Arlomede, che concorre pienamente alle indagini stesse: accertamenti bancari, intercettazioni, collaboratori di giustizia, viene setacciato di tutto. Le indagini portano gli stessi pubblici ministeri a chiedere l’archiviazione sul professore perché’ -scrivono- “non c’è elemento in relazione al 416 bis o a altra ipotesi delittuosa”. Tradotto: il professore e’ pulito. Tutto e’ bene quel che finisce bene? Mica tanto. Perché’ la dottoressa Arlomede, nel frattempo, ha creato un procedimento identico a carico di Schiavone, procedimento gemello di quello che porta il pool che la comprende a chiedere l’archiviazione. Una sovrapposizione, quella tra i due procedimenti gemelli, che dura un anno e mezzo. Il reato? Lo stesso per cui ha chiesto l’archiviazione. Gli elementi di indagine? Gli stessi. I pentiti sentiti? Gli stessi. Una cosa folle, ma -si dirà- che porta allo stesso epilogo, no? Manco per niente. Incassata l’archiviazione per il primo procedimento, il professor Schiavone incassa la richiesta di rinvio a giudizio per quello gemello fondato sugli stessi fatti. Come dire che due più due fa quattro oggi, e cinque domani.
E questo, malgrado nel primo procedimento persino il cassiere del clan dei Casalesi avesse detto chiaro e tondo ai magistrati che il professore nemmeno sapeva chi fosse (e non parliamo di un passante, ma della persona che avrebbe dovuto ricevere il pagamento a nome del clan).
Insomma, un pool di magistrati che include la dottoressa Arlomede archivia il professor Schiavone, ma la Arlomede indaga di nuovo il pover’uomo, per gli stessi fatti, indizi e spifferi di collaboratori di giustizia che hanno portato a quella archiviazione e attribuisce al tutto una valenza opposta, su cui poggia addirittura una richiesta di custodia cautelare ai domiciliari, ovviamente cestinata dal Tribunale del Riesame di Napoli e definitivamente stracciata dalla Cassazione. Con il che, logica vuole che ci si domandi: ma e’ normale che una Dda sostenga contemporaneamente due tesi opposte? Sul fatto, e sulla condotta quantomeno bizzarra della dottoressa Arlomede, butterà un occhio il Csm, cui i difensori, increduli, del Professor Schiavone, si sono rivolti. ‘Ricomincio da capo’, a confronto, era una favoletta.
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