Ha infiammato le piazze d’Italia e di Spagna urlando come Wanna Marchi contro la brutale sostituzione etnica che viene dal mare. E ora, alla guida del governo, Meloni cambia i nomi dei ministeri per contrastare l’islamizzazione che con i barconi minaccia l’inerme patria cristiana. Per combattere questa invasione degli infedeli bisogna essere in tanti, ed ecco pronto allora il Ministero della famiglia e della natalità. Oltre alle urne, la destra vuole che anche le culle siano piene.
Serve in ogni casa la più numerosa prole per conferire all’era Meloni quel senso di reconquista tanto agognato. E, come i gerarchi del bel tempo antico, anche i nuovi titolari dei dicasteri devono dare, loro per primi, l’esempio di cosa fare per rianimare la nazione sempre più disabitata. Ogni ministro in età riproduttiva, non a caso, è entrato nella sala del Quirinale con la vispa progenie al seguito, dai patrioti subito messa a disposizione delle telecamere.
La famiglia, senza compiersi nella riproduzione, non ha senso per il governo dei cognati e affini. Si respira un’aria vagamente tomista nell’immaginazione istituzionale che suggerisce a Meloni di cambiare i nomi dei ministeri nel segno della larga filiazione come meta ultima. L’Aquinate nella Summa contro i gentili (Utet, p. 860) ragionava attorno alla tesi per cui «dopo il peccato di omicidio, occupa il secondo posto il peccato di emissione disordinata dello sperma che toglie quel bene naturale che è la conservazione della specie».
La natalità o “conservazione della specie” è il fine principale (il “bene naturale”) dell’essere umano. Tutto ciò che non rientra nella suprema missione del crescere e moltiplicarsi equivale ad utilizzare il corpo creatore per qualcosa di per sé indegno. Per Tommaso il “coito fornicatorio”, ossia il “produrre l’emissione dello sperma fuori del debito fine della generazione” (p.863), rappresenta il peccato assai grave di chi, per accarezzare il principio del piacere, consuma liquido prezioso senza un fisso pensiero alla dolce culla. Per il governo della disciplina degli amplessi, il corpo della donna vale solo come un veicolo transitorio che ospita nel ventre un bene superiore. È cioè un mero caput mortuum dello spirito, cioè dell’immancabile progetto di vita, che pretende, per ogni consumazione corporale, di provvedere alla finalità della perpetuazione della specie.
La natalità è, nelle intenzioni del governo etico, un imperativo che, per essere realizzato, dovrebbe anche avvalersi di qualche strumento giuridico. Agli incentivi positivi (magari una riedizione della sagra della nuzialità, con tanto di bonus per le nuove coppie e qualche somma in più alla discendenza che porta il nome “Giorgia”), di per sé insufficienti, andrebbero aggiunte sanzioni negative. Ricalcare una bella tassa del celibato, resa peraltro indispensabile anche per coprire parzialmente i buchi di bilancio necessari per la flat tax, sarebbe forse la naturale conseguenza di un approccio che destina il rapporto coniugale alla procreazione vista come somma opera etica che coinvolge tutti i corpi nei loro impeti carnali.
E dove non arrivano né il diritto premiale né le sanzioni meramente economiche? Alla destra, oltre alla capacità giuridica del nascituro, verrà sicuramente in mente prima o poi di partorire anche la redazione di uno statuto giuridico dello sperma, che va disciplinato, quale fonte ultima della vita, per dissuadere i corpi della bella gioventù da certe pratiche che lo dilapidano inutilmente.
Ma è sul terreno del diritto penale che la sfida si fa più avvincente. Come tradurre, infatti, in puntuali delitti e punizioni questa nuova funzione “general-procreativa” della pena? Passare dalla classifica dei peccati carnali tracciata nelle riflessioni di Tommaso a precise fattispecie astratte è compito proibitivo. Avrebbe da faticare molto il nuovo Guardasigilli per perseguire l’immorale ricerca di un piacere del corpo che si presenta senza rimpinguare l’indice delle nascite. Quello che a Travaglio appare un perditempo perché, quando poteva, non mise alla sbarra Occhetto e D’Alema, di sicuro avrà da ingegnarsi per dare alla stagione esaltante della natalità ritrovata anche l’impulso penalistico che merita.
