I medici sono stati mandati in corsia, a combattere il Coronavirus, senza mascherine e senza le altre protezioni, che sarebbero state necessarie. Il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza a fine gennaio e a marzo, quando la pandemia è scoppiata in Italia il Paese era ancora sguarnito di strumenti essenziali. Nelle case di riposo si è verificata una strage. Chissà quanti errori nelle corsie degli ospedali, di fronte a un male nuovo e nella concitazione dell’emergenza, sono stati commessi. E si potrebbe continuare così per decine di righe. Immaginiamo per un momento uno solo di questi episodi in uno qualsiasi degli anni passati: avvisi di garanzia, sequestri di tonnellate di documenti, procuratori in bella vista sulle prime pagine dei giornali. Oggi tutto questo darebbe semplicemente fastidio.
La notizia che la Procura di Milano indaga sulle morti alla Baggina sembra venire da un altro mondo. La pandemia, con la sua forza devastante, sta dimostrando che la sicurezza è una illusione. Per decenni è stata costruita l’immagine di una società che riesce a controllare ogni rischio e, ove questo non avveniva, vi era subito un magistrato pronto ad intervenire e a puntare il dito contro chi quel rischio non aveva saputo domare. E ciò a prescindere da ogni seria indagine sulla effettiva diligenza. Se il rischio non era stato controllato l’unica spiegazione era che non vi era stata adeguata diligenza: era inammissibile che l’uomo con la sua tecnologia non fosse in condizione di controllare ogni rischio.
L’emergenza Coronavirus sta dimostrando che non è così. Si comprende che anche gli errori possono essere fisiologici e non essere il frutto di mancanza di diligenza. L’immagine di ciò che sta accadendo in tutto il mondo lo conferma. Già questa prima considerazione sollecita dei dubbi sulla fondatezza di una concezione della società basata sulla esclusione di qualsiasi rischio e sulla equazione verificarsi del rischio uguale colpa. Ma vi è molto di più. La chiusura totale del Paese ha portato all’improvviso impoverimento di milioni di persone.
Impoverimento che, essendo ormai passata qualche settimana, si traduce addirittura nella impossibilità per molti di dare da mangiare ai propri figli. E più passa il tempo e più questa situazione è destinata a degenerare. Bastano poche altre settimane perché il rischio di una rivolta sociale diventi concreto. Perciò il Paese deve, appena minimamente possibile, riaprire. E, tuttavia, gli esperti, divisi su tante cose, dicono all’unisono che il rischio zero, rispetto al coronavirus, non è raggiungibile nei prossimi mesi. Il rischio di contagio accompagnerà la riapertura del Paese.
Da un lato, dunque, il Paese deve riaprire perché altrimenti vi è il rischio reale che la fame colpisca larga parte della popolazione e, dall’altro, se riapre per chi torna al lavoro vi è il rischio di contrarre il coronavirus. Né, per quanto le cautele possano essere alte, il rischio può essere del tutto escluso, avendo il virus una capacità di contagio assai alta. Un rischio, perciò, dovrà necessariamente essere affrontato: quello della fame o quello dell’infezione? Questa drammatica scelta rende evidente che quella società, in cui molti hanno creduto, nella quale tutti i rischi fossero sotto controllo e che se ciò non fosse avvenuto avrebbe dovuto essere inevitabile l’intervento della procura della Repubblica, era solo una illusione.
