Soffia sempre una certa aria rivoluzione silenziosa dalle parti di Arcore. E chi frequenta i corridoi di Forza Italia racconta di telefonate più frequenti, di incontri riservati, di una parola che ricorre con insistenza crescente: «rinnovamento». Al centro di tutto, ancora una volta, Marina Berlusconi.

Le recenti elezioni regionali hanno consegnato al partito di Antonio Tajani una fotografia a luci e ombre. In Calabria, terra d’origine del governatore Occhiuto, gli azzurri sono volati al 17,98%, primo partito della coalizione. Ma in Veneto – la regione che Silvio Berlusconi considerava strategica per il radicamento al Nord – Forza Italia si è fermata a un modesto 6,3%, quasi un terzo rispetto a Fratelli d’Italia. Un risultato che non sarebbe passato inosservato ad Arcore. Secondo quanto trapela da ambienti vicini alla famiglia, la presidente di Fininvest e Mondadori avrebbe manifestato una certa insofferenza per il posizionamento attuale del partito. Non tanto per i numeri complessivi – che restano stabili attorno all’8-9% nazionale – quanto per quella che viene definita una «perdita di identità liberale». Il manifesto era già chiaro dallo scorso febbraio, quando Marina aveva chiesto meno dipendenza dal trumpismo, più Europa, più coraggio sui diritti civili. Parole che avevano fatto tremare gli equilibri interni, con Giorgio Mulè che le aveva definite «un predellino intellettuale» e Tajani costretto a precisare che «non c’è bisogno di nessuna sveglia». Ma la sveglia, a quanto pare, continua a suonare.

Un segnale, forse non casuale, era arrivato già lo scorso maggio. Il congresso nazionale di Forza Italia Giovani, celebrato al Palazzo dei Congressi di Roma con lo slogan «Il futuro è adesso», aveva registrato una partecipazione ben oltre le aspettative: 626 delegati da tutta Italia, l’elezione all’unanimità di Simone Leoni alla guida del movimento, e una platea insolitamente nutrita di under 35 provenienti dalle sezioni territoriali. Chi ha seguito i lavori racconta di un’atmosfera diversa rispetto ai rituali congressi di partito: meno liturgia, più dibattito sui temi. E soprattutto, sussurrano, un’attenzione particolare da parte di Arcore. Non è un mistero che la famiglia Berlusconi guardi con interesse alla nuova generazione azzurra, vista come il terreno più fertile per seminare quel «liberalismo moderno» di cui Marina si è fatta interprete. Alcuni dirigenti del movimento giovanile, riferiscono fonti interne, sarebbero già stati sondati per ruoli di maggiore responsabilità nelle strutture territoriali, con particolare attenzione alla Lombardia.

«Servono facce nuove, linguaggi nuovi», avrebbe confidato un esponente vicino alla famiglia. Il messaggio, neanche troppo cifrato, è che il rinnovamento della classe dirigente non può più attendere. E che la strada passa inevitabilmente da chi oggi ha vent’anni e domani – alle politiche del 2027, alle comunali di Milano, alle regionali lombarde del 2028 – potrebbe essere pronto per il salto. Chi conosce le dinamiche familiari racconta che l’attenzione di Marina si concentri ora su due appuntamenti cruciali: le elezioni comunali di Milano, previste per la primavera 2027, e le regionali lombarde del 2028. Due partite che la Cavaliera considererebbe non negoziabili per il futuro del brand Berlusconi. A Milano, dove il centrodestra non governa dal 2011, Forza Italia ha già commissionato sondaggi riservati per testare possibili candidati. Tajani ha pubblicamente bocciato l’ipotesi Maurizio Lupi, preferendo un profilo civico. Ma la domanda che circola nei corridoi azzurri è un’altra: chi deciderà davvero la linea per la città di Silvio?

Non è un mistero che la famiglia mantenga un interesse diretto sulle sorti milanesi. Fonti qualificate riferiscono di una convinzione diffusa ad Arcore: per riconquistare Palazzo Marino serve un candidato che incarni quella «modernità liberale» di cui Marina si è fatta portatrice. Non un politico di professione, ma un volto nuovo capace di parlare alla Milano che conta, quella delle imprese e delle professioni, senza le zavorre ideologiche degli alleati sovranisti. Ma il vero cantiere, nelle intenzioni della Cavaliera, sarebbe più ampio. Già la scorsa estate erano filtrate indiscrezioni su un progetto di think tank politicamente trasversale, una fondazione capace di occuparsi di temi globali – intelligenza artificiale, migrazioni, equilibri geopolitici – e di attrarre competenze nuove. Un laboratorio che, nelle intenzioni, dovrebbe affiancare e gradualmente rinnovare la classe dirigente attuale.

Il nome circolato con maggiore insistenza è quello di Deborah Bergamini, deputata di lungo corso considerata persona di fiducia della famiglia. Ma il progetto divide: c’è chi lo vede come un segnale di apertura e chi teme si tratti di un’operazione per «ridisegnare Forza Italia attorno a una persona», come sussurra un deputato azzurro a microfoni spenti. Tajani, dal canto suo, difende il proprio operato: «Abbiamo superato il 10 per cento, siamo al 12 secondo alcuni sondaggi». Ma dalle parti di Segrate la risposta sarebbe stata fredda: i numeri non bastano, serve un cambio di passo culturale prima ancora che elettorale.

Se Milano è il banco di prova immediato, la Lombardia rappresenta la sfida di lungo periodo. Nel 2028 si voterà per il successore di Attilio Fontana, e l’accordo tra i leader del centrodestra assegna la candidatura al partito che otterrà più voti alle politiche del 2027. Facile prevedere che sarà Fratelli d’Italia, con Carlo Fidanza già in rampa di lancio. In questo scenario, Forza Italia rischia la marginalità proprio nella regione-simbolo del berlusconismo. Una prospettiva che ad Arcore non piace affatto. Da qui – raccontano – l’urgenza di Marina di accelerare il rinnovamento: arrivare alle politiche del 2027 con un partito più competitivo, più riconoscibile, più «suo». E con una nuova leva di dirigenti cresciuti nel solco di quel liberalismo europeo che il Cavaliere aveva sempre predicato, anche quando la coalizione tirava da altre parti. Non si tratta, almeno per ora, di una discesa in campo diretta. Chi la conosce bene esclude che Marina intenda entrare in Parlamento o candidarsi a qualsiasi carica. Ma il suo ruolo di «azionista di riferimento» – politico prima ancora che economico – sembra destinato a crescere. E con esso, le pressioni su una classe dirigente che dovrà dimostrare di saper interpretare il cambiamento.

Intanto, da via Bellerio, quartier generale leghista, osservano con attenzione. Salvini sa che un rilancio di Forza Italia in chiave moderata-europeista potrebbe conquistare voti al centro, complicando gli equilibri della coalizione. E Meloni, che pure ha sempre trattato Marina con rispetto quasi reverenziale, dovrà fare i conti con un’alleata che sembra voler uscire dall’angolo.